ROMA – «E’ davvero il caso di dire che al peggio rischia di non esserci mai fine. Non bastava, infatti, l’emorragia di infermieri italiani in fuga verso estero, non bastavano le dimissioni volontarie di professionisti che quasi ogni giorno lasciano la sanità pubblica.
Di fronte ad una allarmante carenza di personale che il nostro sindacato, con un report aggiornato al 2022, e presentato nel corso del recente Congresso Nazionale dei Quadri Dirigenti, ha quantificato in una base di 175mila professionisti, fino a toccare un picco di 227mila unità, le nostre Regioni pensano, udite udite, di “tappare la falla di personale infermieristico” affidando totalmente in esterna la gestione di reparti chiave di aziende sanitarie con bacini di utenza enormi come quelli della Capitale.
Negli ospedali laziali carenti di personale stanno infatti per arrivare i «pericolosi trapianti esterni» di equipe infermieristiche messe a disposizione da società private, in una sorta di discutibile “pacchetto tutto compreso” per la copertura dei turni nei reparti.
Siamo di fronte all’ingaggio pro tempore di liberi professionisti i cui costi certo peseranno non poco sul già precario budget delle Regioni, e non saranno certo l’unico caso: rappresentano una sorta di protesi esterna per la gamba di un paziente in evidente stato di paralisi.
Sarebbe il caso di riflettere sul chi ha portato il “paziente” ad una situazione così grave e sul come si possa essere arrivati a tutto questo.
E’ il caso dell’Asl Roma 4 che, non essendo in grado , come tante altre aziende sanitarie, di avviare piani concreti di assunzioni interne, ha deciso di «esternalizzare provvisoriamente» il servizio infermieristico, proprio per consentire l’imminente apertura di 2 reparti: i 12 posti letto di Terapia intensiva e sub-intensiva e i 10 posti di Medicina di Emergenza-Urgenza «in collegamento funzionale con il Pronto Soccorso» dell’ospedale di Civitavecchia.
Ci rendiamo conto di quanto sta accadendo nella nostra sanità? Ci lasciamo scappare le nostre migliori eccellenze, perché i nostri infermieri dipendenti lasciano le ASL per abbandonare l’Italia, e la nostra politica, per coprire la voragine di personale, utilizza le proprie già limitate risorse per pagare professionisti “a gettone”. Siamo sconcertati!».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Nel caso dell’Asl della quale parliamo, siamo davanti ad un appalto per la «durata di 1 anno», con un importo a base di gara da 2 milioni di euro, di cui un milione e 600 mila euro per i servizi infermieristici e 400 mila euro per i servizi socio-sanitari. La società che se lo aggiudicherà, infatti, dovrà «assicurare le prestazioni inerenti ai servizi in appalto con proprio personale», fornendo un totale di «7 infermieri la mattina, 7 il pomeriggio e 6 di notte pari a 57.305 ore l’anno».
Come possiamo commentare quanto sta accadendo se non ricordando, amaramente, che, mentre fiumi di denaro, come in questo caso, vengono utilizzati per coprire le falle, pagando lautamente società esterne chiamate a fornire il personale mancante all’appello, ai nostri infermieri, alle nostre ostetriche, ai nostri professionisti dipendenti del nostro SSN, viene fatto mancare “il pane quotidiano”.
Il quadro è desolante, continua De Palma, anche se la legge oggi consente, ahimè, tutto questo: siamo davanti ad una sanità tristemente “preconfezionata”, una sanità che sembra un triste sugo in barattolo precotto, del quale interessa ben poco anche conoscere gli ingredienti, perché nessuno ha il tempo per farlo, e non si pensa agli strumenti ed agli uomini che invece servirebbero per preparare il cibo di qualità, da zero, con cura e abnegazione.
Non vorremmo che quanto accade possa rappresentare la palese dimostrazione che la politica sta pericolosamente mollando le redini della sanità italiana, che così rischia di finire abbandonata a se stessa, alla mercé dell’incertezza e dell’improvvisazione.
Di certo il caso dell’Asl laziale rappresenta l’ennesima dimostrazione di scelte a dir poco paradossali: a livello nazionale, regna sovrana l’incertezza delle cifre a dir poco “ballerine” da stanziare per il presunto rilancio, è il caso di dire più che mai presunto, del nostro sistema sanitario, con gli ormai celebri 4 miliardi di euro richiesti dal Ministro Schillaci ai quali questo Governo pare proprio che non sia in grado di arrivare.
Siamo di fronte, non dimentichiamolo, agli schiaccianti dati della Nadef che, al di là delle deboli giustificazioni di circostanza di chi occupa le poltrone della politica, evidenziano il rischio di un calo della riduzione della spesa sanitaria che equivale ad “ulteriori scosse telluriche” che la nostra sanità dovrà essere in grado di reggere».
Non 4 miliardi in più per la sanità, bensì 3,5, forse addirittura 3. È la novità che si apprende da fonti vicine al Ministero dell’Economia per la Finanziaria 2024. Nei prossimi giorni ci sarà un serrato confronto: 3,5 miliardi bastano appena per la sanità e poco altro ma intanto le regioni chiedono 1,7 miliardi di ripiani pregressi, inflazione, investimenti.
De Palma intanto rincara la dose: «Per quanto ancora i professionisti della salute e la collettività pagheranno sulla propria pelle scelte che definire poco comprensibili è davvero un eufemismo?
Le conseguenze rischiano di rappresentare un salto nel vuoto senza ritorno. L’analisi dei fatti ci porta ad una riflessione doverosa e schiacciante: la solidità dell’assistenza infermieristica, uno dei punti cardine della sanità italiana, rischia di crollare, giorno dopo giorno, trasformandosi in un fragilissimo castello di sabbia.
Cosa ne sarà della qualità dell’offerta sanitaria garantita quotidianamente dai valenti professionisti dipendenti del nostro SSN, se a questi ultimi non viene consentito di esprimere al meglio le proprie enormi qualità, mettendo a repentaglio la stabilità del lavoro che svolgono ogni giorno al servizio dei cittadini?
Tutto questo non farà altro che acuire inesorabilmente la gravissima situazione della sanità italiana. La deresponsabilizzazione della nostra politica ci preoccupa non poco, dal momento che in ballo ci sono la serenità dei professionisti sanitari e quella della collettività, in particolare dei soggetti più fragili, la cui tutela della salute è il caposaldo di un Paese civile», chiosa De Palma.