EMERGENZA CORONAVIRUS: FARE PRESTO, MA BENE

Il decreto approvato dal Consiglio dei Ministri rappresenta una prima risposta del Governo ai professionisti impegnati a contrastare l’epidemia da Covid-19.

 

Il provvedimento dovrebbe consentire, oltre ad un apprezzabile quanto necessario incremento dei posti letto di terapia intensiva, l’assunzione di 20.000 operatori sanitari, tra i quali circa 5.000 medici, quasi il 50% della loro carenza attuale. Siamo di fronte, sicuramente, ad un cambio di passo considerevole rispetto alle politiche precedenti, fatte di tagli importanti che hanno portato alla mancanza complessivamente di 50.000 operatori nel SSN.

Una risposta che, però, per quanto riguarda le procedure di reclutamento, elenca un ventaglio di soluzioni, aperte a tutti i tipi di medici, da quelli con la sola laurea agli specializzandi o specialisti, fino ai pensionati, senza indicare una gerarchia di priorità. L’impressione, però, è che si punti al vecchio e logoro strumento dell’incarico di lavoro autonomo per 6 mesi, un lavoro usa e getta, privo di tutele contrattuali, assicurative e previdenziali, alla insegna del massimo risparmio, oggi probabilmente scarsamente appetibile.

Occorre, invece, puntare decisamente su soluzioni di reclutamento più strutturate, e per periodi più lunghi, per dare una soluzione concreta e stabile alla carenza di specialisti denunciata da molti anni. La previsione di un avviso pubblico della durata di due anni non può non accompagnarsi a procedure snelle, attraverso bandi veloci, massimo una settimana, e la sola comparazione di titoli curriculari o un semplice colloquio, non potendo certamente aspettare i 2 mesi oggi necessari per espletare questo tipo di procedura.

Richiamare i pensionati o affidarsi a personale che nemmeno ha iniziato il percorso formativo post laurea è inutile e fuorviante, e chiedere agli specializzandi di correre in prima linea con il loro magro contratto di formazione post lauream e la prospettiva di allungare i tempi della sua conclusione, si rivelerà illusorio.

E’ necessario, altresì, allargare la platea delle professioni interessate, avendo bisogno non solo di medici ed infermieri ma di biologi e tecnici per mandare avanti i laboratori diagnostici, di tecnici di radiologia, di fisioterapisti.

Curiosamente, dopo tanti elogi verbali e commozione per i gesti eroici, manca una premialità forte, anche retributiva, per coloro che stanno sacrificando in queste ore i propri affetti e diritti: riposo, tempo familiare, ferie. Nelle zone rosse e gialle, la retribuzione di risultato e quella legata al disagio deve essere implementata e va meglio remunerato lo straordinario, anzichè limitarsi ad abolire i riposi, come se non lo avessero fatto già i professionisti spontaneamente e con alto senso del dovere, e prospettare la sospensione della attività intramoenia, bersaglio buono per tutte le occasioni.

Infine, una riflessione andrà messa in campo sulla falcidia delle Unità Operative Complesse in carico a dirigenti del SSN, quelle con mission prevalentemente assistenziale, in conseguenza dei limiti più volte denunciati del D.M. 70 e dell’ingordo assalto universitario a posti apicali.

Anche in provvedimenti dettati da condizioni straordinarie si sente troppo MEF e troppa Università, che mette paletti anche alla applicazione di norme già scritte.

Occorre fare presto ma bene.

L’Anaao apprezza con spirito collaborativo le intenzioni del Governo ma sollecita soluzioni non aleatorie e di immediata applicazione, capaci di parlare al cuore e alla mente del popolo ospedaliero che da settimane si batte incessantemente, mettendo a rischio perfino la propria salute, per garantire cure appropriate a tutti i cittadini che in questi giorni si rivolgono a loro.