L’appello della Federazione internazionale in occasione della Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti che si celebrerà il 2 novembre 2024: «L’Onu deve fare di più per sostenere la libertà di stampa, anche chiedendo l’attuazione delle proprie risoluzioni».
«Secondo le ultime statistiche dell’Ifj, dall’inizio dell’anno almeno 76 giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi nel corso del loro lavoro, 46 dei quali a Gaza». Lo si legge in una nota pubblicata dalla Federazione internazionale dei giornalisti sul suo sito web in occasione della Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti che si celebrerà il 2 novembre 2024.
L’Ifj condanna, in particolare, «l’atteggiamento di Israele nei confronti della stampa e i suoi attacchi ai lavoratori dei media a seguito della guerra a Gaza. Almeno 146 giornalisti hanno perso la vita lì dall’inizio del conflitto nell’ottobre 2023, il periodo più sanguinoso nella storia del giornalismo. Da ottobre 2023, l’Ifj ha rivolto ripetuti appelli alle Nazioni Unite, chiedendo un cessate il fuoco e chiedendo aiuti umanitari e logistici per i giornalisti, compresi i dispositivi di protezione di cui i giornalisti sono privi. L’Ifj ha anche chiesto al governo israeliano di revocare il divieto che impedisce ai giornalisti internazionali di entrare nella Striscia di Gaza. Inoltre, l’Ifj accusa Israele di violare le risoluzioni 2222/2015 e 1738/2006 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che condannano gli attacchi internazionali contro giornalisti e operatori dei media in situazioni di conflitto armato».
Nel resto del mondo la Federazione «deplora gli infiniti arresti arbitrari, le intimidazioni, le sparizioni, le aggressioni fisiche e le minacce online contro i giornalisti, che mirano a mettere a tacere la stampa e a soffocare storie di interesse pubblico». La Ifj «punta il dito in particolare su altri Paesi in cui l’impunità è dilagante, ad esempio il Pakistan con 9 omicidi quest’anno, la Colombia, dove si sono verificati molteplici casi di minacce, attacchi e due giornalisti uccisi nel 2024, il Kosovo dove 19 omicidi di giornalisti restano impuniti e il Sudan, un altro Paese in guerra dove almeno quattro giornalisti sono stati uccisi quest’anno, per lo più dalle milizie e dai membri delle forze di sicurezza in totale impunità».
Il presidente dell’Ifj Dominique Pradalié ha affermato: «Quest’anno è di nuovo un giorno triste quando si parla di impunità. Non esiste assolutamente un ambiente libero e sicuro in cui i giornalisti possano lavorare e stiamo attualmente assistendo al periodo più sanguinoso nella storia del giornalismo a causa del conflitto a Gaza e nei paesi limitrofi. I governi di tutto il mondo devono essere ritenuti responsabili delle atrocità perpetrate contro i giornalisti e l’Onu deve fare di più per sostenere la libertà di stampa, anche chiedendo l’attuazione delle proprie risoluzioni. È giunto il momento che la comunità internazionale dica “stop all’impunità” e adotti una Convenzione ONU vincolante sulla sicurezza e l’indipendenza dei giornalisti e degli altri professionisti dei media».
La Federazione annuncia infine che «sarà rappresentata dal suo vicepresidente, il giornalista palestinese e presidente del Palestinian Journalists’ Syndicate (Pjs) Nasser Abu Bakr, alla commemorazione globale dell’Onu dell’Impunity Day il 6-7 novembre 2024 ad Addis Abeba, in Etiopia. La sicurezza dei giornalisti in situazioni di crisi ed emergenze sarà il tema dell’evento».
Anche la Press Emblem Campaign (Pec), Ong svizzera con status consultivo speciale presso le Nazioni Unite, è intervenuta in occasione della Giornata internazionale per porre fine all’impunità per i crimini contro i giornalisti, evidenziando che «il bilancio è quest’anno particolarmente desolante: gli autori delle violenze e degli omicidi commessi contro i giornalisti nell’ultimo anno hanno goduto finora di totale impunità. Dallo scoppio della guerra a Gaza il 7 ottobre 2023 – conclude la Pec – più di 150 giornalisti sono stati uccisi in Palestina e Libano a seguito delle rappresaglie israeliane per gli attacchi di Hamas e Hezbollah. Nessun responsabile, a nessun livello, militare o civile, è stato perseguito».