Roma – Sono passati tredici anni da quando Giulia Galiotto, 30 anni, venne uccisa dal marito, che le diede appuntamento nella casa dei suoceri e nel garage, dopo l’ennesima lite, le fracassò la testa con un sasso per poi inscenarne il suicidio. Un femminicidio per il quale, però, i giudici non riconobbero la premeditazione, ma piuttosto “uno scompenso emozionale”, come ha raccontato, intervistata dalla Dire, Giovanna Ferrari, madre di Giulia. Adesso l’assassino di Giulia Galiotto ha ottenuto di scontare i suoi ultimi tre anni in regime di semilibertà. Una misura giudicata “eccessiva” da Giovanna Ferrari, che riapre la ferita della sentenza del 2013 e senza indugi la presenta come ennesima prova inferta di violenza istituzionale.
All’epoca, “non avevamo dubbi che la premeditazione sarebbe stata riconosciuta”, ha dichiarato Ferrari, “e il fatto che venisse dato più valore alla parola di un assassino, che ha ovviamente dato la sua versione funzionale a ottenere il minimo della pena, a noi è sembrato non soltanto un’ingiustizia feroce ma anche una mancanza di rispetto nei confronti della vittima. Perché il tutto è stato permesso con la svalutazione e la diffamazione dell’immagine di Giulia”.
In Tribunale, infatti, l’uomo cercò di dipingere un’immagine di Giulia Galiotto che per la madre non corrisponde alla realtà, sostenendo che lo tradisse continuamente e che gli fosse infedele. Quando, in realtà, “ad avere un’amante e a volersi liberare della moglie era lui”, precisa Ferrari.
Si può dunque affermare che in qualche modo la sentenza abbia accolto l’idea che lo scompenso emotivo fosse stato causato dalle provocazioni della vittima?
“Certamente- è la risposta di Ferrari- Addirittura dalle continue delusioni che mia figlia avrebbe inflitto al marito perché è stata dipinta come una persona che non sapeva stare al suo posto. In Tribunale- aggiunge- abbiamo scoperto cos’è il patriarcato”.
La versione dell’assassino venne all’epoca corroborata da una perizia psichiatrica che, pur escludendo il discontrollo episodico e il vizio di mente evocato dalla difesa e pur rilevando la personalità narcisistica di quest’uomo, “alla fine conclude con una specie di arringa difensiva veramente scandalosa, vomitando infamie e quasi giustificando l’assassinio di questa donna. Questo- ha detto Giuliana Ferrari- è stato per noi ancora peggio del ritrovarci con una figlia uccisa dal marito”.
Secondo la madre di Giulia, all’epoca del processo sua figlia venne raccontata soltanto attraverso gli occhi del suo carnefice: “A lui è stato concesso di raccontare in chiave totalmente difensiva chi era Giulia, in modo strumentale alla sua difesa”. A distanza di tredici anni, Giovanna Ferrari ha riconosciuto in questo “la violenza istituzionale, la rivittimizzazone”, che ancora adesso “non è scomparsa, tanto è vero che la Commissione d’inchiesta sul femminicidio l’ha rilevata essere un male comune. Difficilmente viene riconosciuta la violenza nei tribunali, si preferisce colpevolizzare la vittima”.
Adesso l’assassino di Giulia, che sconterà i prossimi tre anni in regime di semilibertà, ha offerto ai familiari della vittima una mediazione penale: consapevole del risarcimento a cui sarebbe tenuto nei loro confronti, ha proposto loro 50 euro al mese che, se rifiutati, verserà a un’associazione contro la violenza maschile sulle donne. “Una beffa”, secondo Giovanna Ferrari, che stigmatizza “questo istituto della facilitazione del reinserimento del condannato nella società, che però responsabilizza le vittime per il buon esito del periodo di prova. Mi sembra una crudeltà”. A questo, si aggiunge la preoccupazione per la propria incolumità: “Io sono tranquilla, non ho timori- ha detto Ferrari- ma abbiamo già peccato di ingenuità una volta”.
Quello che continuerà a fare Giovanna Ferrari, adesso membro dell’Udi (Unione donne in Italia) di Modena, è “mettere a disposizione la mia testimonianza”. Ma non per cedere il fianco a una “pornografia del dolore che non risolve il problema” e che a volte sfocia poi in “quelle che sono le ‘istruzioni per l’uso’ per le donne, perché non cadano vittime di violenze. Non mi piace. Io voglio puntare il dito su quello che ho vissuto ed è la violenza istituzionale”, ha concluso.