Non si possono pubblicare immagini lesive della dignità di un malato neanche per denunciare la sua difficile qualità di vita.
Lo ha ricordato il Garante Privacy nell’ammonire la madre di una giovane donna rimasta paralizzata a causa dell’aggressione dell’ex fidanzato.
L’Autorità si è attivata a seguito di un reclamo presentato dall’amministratore di sostegno della ragazza, che lamentava una violazione della normativa privacy in relazione alla diffusione sui social media di immagini e notizie riguardanti la salute e la vita privata della giovane, ad opera della madre. Nei post venivano inoltre riportati i fatti di cronaca di cui era stata vittima e alcune informazioni riservate, relative alle sue vicende processuali.
Il Garante, alla luce di quanto emerso nel corso dell’istruttoria, ha dichiarato il reclamo fondato. I post diffusi sul profilo social della madre ritraevano infatti la giovane nelle condizioni peculiari del suo stato di salute e senza alcuna forma di oscuramento, risultando così le immagini lesive della sua dignità. In particolare, due di queste: di cui una ritraeva la ragazza con i capelli rasati e l’altra distesa sulla sedia a rotelle con la bocca semiaperta.
L’Autorità ha ritenuto invece che fosse lecito diffondere i post che non riportavano contenuti “crudi” in quanto rientranti nelle forme di libera manifestazione del pensiero.
Nel suo provvedimento il Garante ha ricordato che la diffusione di dati sulla salute è sottoposta alle Regole deontologiche che si applicano non solo a chi svolge attività giornalistica ma a chiunque pubblichi anche occasionalmente articoli, saggi e altre manifestazioni del pensiero.
In particolare, le Regole deontologiche individuano limiti precisi alla diffusione dei dati sulla salute, stabilendo come principi cardini, il rispetto della dignità del malato, il diritto alla sua riservatezza e al decoro personale, specie nel caso di malattie gravi o terminali. Ciò anche nel caso in cui le foto e informazioni vengano utilizzate per denunciare la qualità di vita della persona malata o i relativi problemi di assistenza.
Nel definire il procedimento, il Garante per la protezione dei dati personali ha tuttavia ritenuto sufficiente la misura dell’ammonimento, poiché la madre aveva agito in buona fede con l’intento di riportare l’attenzione mediatica sulla condizione della figlia.