Roma – Il rischio zero “non esiste”. Contro le alluvioni si può fare qualcosa: servono opere strutturali come dighe, argini o invasi, ma soprattutto bisogna lavorare sulla prevenzione e sulla mitigazione del danno. Formando i cittadini e gli amministratori locali. E’ questa la ricetta lanciata dall’Ordine degli ingegneri di Roma, attraverso il presidente Massimo Cerri, insieme al professor Francesco Napolitano, ordinario in Costruzioni idrauliche alla Sapienza di Roma e referente dell’area ingegneria idraulica dell’Ordine degli ingegneri di Roma.
“L’Ordine degli ingegneri della provincia di Roma ha creato dei dipartimenti a cui afferiscono alcune aree tematiche. Tutta l’attività per competenza è poi seguita dalle commissioni tematiche dello stesso ordine. In questo modo riusciamo ad essere di supporto alle Istituzioni. Utilizzando vari settori: si parte dall’area che si occupa delle opere idrauliche e da quella di supporto alla protezione civile legata al dissesto idrogeologico. Il settore civile ambientale oggi esprime una forte competenza sulle opere idrauliche. Ma bisogna superare una visione segmentata su questo argomento. Quindi questo settore non è disgiunto dall’ingegneria industriale, che si occupa, tra le altre cose, di sensoristica, studi, ricerca e sviluppo per la prevenzione dei dati, ma nemmeno dall’ingegneria dell’informazione che può sviluppare tutta una serie di applicazioni informatiche e di telecomunicazioni, che sono determinanti sia per la prevenzione che per la comunicazione capillare verso il singolo cittadino nel caso di un’emergenza, vista che registriamo in Italia la presenza del triplo di telefoni cellulari rispetto alla popolazione italiana”, dichiara Massimo Cerri presidente dell’Ordine degli ingegneri della provincia di Roma nel corso di un’intervista.
Napolitano: Chiamarle ‘bombe d’acqua’ crea alibi
“C’è un problema di gestione comunicativa di questi eventi. In Emilia Romagna è certamente caduta una quantità di pioggia particolarmente intensa, parliamo del 50% di quanta ne cade mediamente durante un anno, in sole 48 ore. Ma questi eventi sono sempre esistiti nell’area del Mediterraneo, e sono accaduti anche negli anni ’30 e ’50, o nel secolo scorso. Parlare, però, di bomba d’acqua fornisce un alibi portentoso ai nostri amministratori. Perché quando uno è bombardato dall’alto può fare poco. Se invece si è di fronte ad un evento particolarmente intenso ma prevedibile, che rientra in uno scenario di evento possibile, le sue responsabilità di corretta gestione del territorio emergono in tutta la loro evidenza. Anche dire che tutto è dovuto al cambiamento climatico è un alibi. Ma non bisogna fornire ai nostri amministratori alibi per non intervenire. Loro devono, al contrario, pianificare le opere strutturali, nel limite delle risorse disponibili”. Così Francesco Napolitano, professore ordinario alla Sapienza in Costruzioni idrauliche e referente dell’area ingegneria idraulica dell’Ordine ingegneri Roma nel corso di un’intervista.
Il rischio zero non esiste
“Per prima cosa dobbiamo comprendere e far comprendere una cosa ai cittadini e ai nostri amministratori. Vivere a rischio zero è impensabile, soprattutto se si parla del rischio idrogeologico in un Paese vulnerabile come il nostro. Quindi dobbiamo gestire il rischio idraulico. Per mitigare il rischio abbiamo due strade: o riduciamo la pericolosità, investendo e realizzando opere come dighe, argini, casse di laminazione, invasi, scolmatori e canali diversivi, entrando nel territorio con opere che costano tanto e che si impiega tanto per realizzare, oppure riduciamo il danno. Una misura non strutturale, quest’ultima, che parte dal capire dove, con che intensità e quando un certo evento può manifestarsi e arriva alle misure da mettere in campo per fare fronte, dal punto di vista emergenziale, alla situazione. Questo con un piano di protezione aggiornato e con la consapevolezza del rischio da parte della cittadinanza e di chi gestisce le diverse infrastrutture. Su queste cose si sta lavorando. In Italia si è deciso di investire molto forte sulle misure non strutturali come lo sviluppo della protezione civile, la capacità di monitoraggio del territorio o l’implementazione della rete radar nazionale”, prosegue.
La prevenzione strutturale costa troppo
“Le opere strutturali come dighe, argini, casse di laminazione, invasi, scolmatori e canali diversivi costano tanto. Basti pensare che per una sola diga o un invaso si parla di centinaia di milioni di euro. E questo risolve un unico problema. Immaginiamo di fare questo su tutto il territorio nazionale, o di assumersi un rischio uniforme su tutto il territorio nazionale: sicuramente è qualcosa che non riusciamo a permetterci. La via è, quindi, quella di adattarsi e di mitigare. Su questo gli ingegneri che mitigano gli effetti devono giocare sempre più un ruolo da protagonisti”.
Troppe impermeabilizzazioni in città
“Quando si parla di rischio di allagamento non dobbiamo solo pensare ai fiumi che esondano, come successo in Emilia Romagna. Questo avviene, ma per eventi di pioggia estremamente rari. Esiste un indicatore, che è il tempo di ritorno, che misura il tempo statistico che un certo evento impegna a tornare con la stessa intensità. Per l’Emilia Romagna si parla di tempi ultra secolari, 100 o 200 anni. In città, invece, le opere di drenaggio sono dimensionate per tempi di ritorno molto più bassi. Le fognature in tutte le città, ad esempio, per 10 o 20 anni. Questo significa che, statisticamente, annualmente da qualche parte un nubifragio intenso metterà in crisi una nostra città. E non perché cambia il clima, ma per le opere realizzate dall’uomo a terra, che sono insufficienti. Dal punto di vista normativo, per far fronte al cambiamento idrogeologico, si deve cambiare il modo in cui le acque si distribuiscono in città. Questa capacità di modificare il territorio, preservando la quantità di acqua che ‘ruscella’, è il tema dell’invarianza idraulica e idrogeologica che sta iniziando ad affacciarsi nella legislazione degli enti locali e delle Regioni. Nelle nostri città, purtroppo, da oggi a 30-40 anni questo tema si porrà con maggiore evidenza: perché stiamo continuando ad impermeabilizzare, perché le nostre opere sono state progettate qualche decennio fa, e quindi hanno un affaticamento e vanno ricostruite e perché il cambiamento climatico crea certamente un effetto” conclude Napolitano.
Noi accanto alla Protezione civile
“L’Ordine degli ingegneri della provincia di Roma porta avanti quelli che sono gli insegnamenti dell’approccio ingegneristico, anche rispetto ad eventi di questo natura. A partire dal tema del cosiddetto ‘risk assessment’, che parte proprio dalla misura preventiva prima ancora di pensare alla gestione degli eventi. l’Ordine ha strutturato delle unità e siamo stati fautori della creazione di un’associazione di volontari ingegneri per essere una costola della Protezione civile nella gestione di questi eventi. Inoltre abbiamo indirizzato la cultura della sicurezza a 360 gradi, mettendo le nostre competenze tecniche nella disponibilità delle Istituzioni e della politica, per avere un inquadramento della programmazione preventiva e della progettazione, e lavorando ad una diffusione culturale verso i territori e i cittadini, creando canali di comunicazione disponibili nella gestione di queste fasi emergenziali”. Conclude Cerri.