Trieste – Uno sciopero con protesta a oltranza, ma che di fatto lascia aperto il porto di Trieste. “Non c’è stato un accordo, credo che ci sia un’assunzione di responsabilità da parte dei manifestanti. La manifestazione tecnicamente non è uno sciopero perché non c’è alcuna richiesta da parte dei lavoratori che protestano nei confronti delle imprese, ma è una richiesta che è stata fatta direttamente al governo”.
Così il presidente del Confetra del Friuli Venezia Giulia, Stefano Visintin, commenta alla Dire, dal punto di vista dei datori di lavoro portuali, la situazione nello scalo giuliano. Situazione che vede chiuso il varco principale, con migliaia di manifestanti a presidiarlo, e piccoli gruppetti, soprattutto di curiosi, che si presentano al varco 1, quello più vicino al centro di Trieste, per andarsene poco dopo. “Il problema del varco in questo momento non sussiste- continua Visintin- perché i camion entrano regolarmente. Questo non è un varco secondario, è il numero uno- precisa-. Il varco numero quattro, quello che viene presidiato in questo momento è il varco più vicino al terminal container, ed è quello forse più sensibile”, spiega. E aggiunge: “Ci sono altri punti nel porto di Trieste, lo scalo legnami, la piattaforma logistica, l’oleodotto, l’interporto di Trieste, il punto franco vecchio, e sembra essere tutto operativo”.
Il vero problema per gli operatori, sottolinea Visintin, non è quindi la chiusura del varco 4, ma “il fatto che ci sono dei lavoratori che in questo momento non sono muniti di green pass. Questa è la vera difficoltà: riuscire a far fronte a tutto il lavoro portuale senza questi lavoratori”. A questo si aggiunge, conclude il presidente, il fatto che gli operatori portuali ora si fanno carico del costo dei tamponi, circa 300 al giorno, costo che si aggiunge a quello dei protocolli di sicurezza che le aziende si sono sinora assunte, garantendo l’operatività del porto dall’inizio della pandemia.