«La profonda crisi in cui è piombato il nostro sistema sanitario rischia di trasformarsi in un labirinto senza uscita, ma, di fatto, la collettività, a oggi, paga già pesantemente, è sotto gli occhi di tutti, lo scotto di quello che appare come un fragilissimo castello di sabbia pronto a crollare al primo soffio di vento.
Le solide motivazioni alla base delle nostre manifestazioni di protesta nelle piazze italiane da Nord a Sud, con il recente epocale sciopero organizzato con alcuni dei sindacati dei medici, hanno quindi radici ben profonde.
Quanto diciamo da tempo è confermato da autorevoli report che raccontano in modo schiacciante la verità dei fatti: la crisi dell’assistenza sanitaria mette a repentaglio ogni giorno la tutela della qualità della salute della collettività. Per questo motivo è tempo di agire prima che sia troppo tardi».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Partiamo dall’indagine più preoccupante, oltre tutto anche quella più recente, e guai a provare a nascondere la testa sotto la sabbia: come aspettativa di vita alla nascita, in Italia scendiamo al nono posto, rispetto al terzo dove eravamo prima.
Con una media di 82,7 anni siamo appaiati oggi al Lussemburgo. Certo, siamo ancora sopra la media Ocse, che è di 80,3 anni, ma davanti a noi ci sono adesso Giappone (84,5 anni), Svizzera (83,9), Corea del Sud (83,6), Australia (83,3), Spagna (83,3), Norvegia (83,2), Islanda (83,2) e Svezia (83,1).
“L’effetto domino” della carenza ormai cronica di professionisti dell’assistenza travolge, quindi, come un treno in corsa, la stabilità della tutela della salute degli italiani, laddove il lento e graduale invecchiamento della popolazione necessiterebbe, invece, di una sanità territoriale ancora più forte, ancora più efficace.
Non dimentichiamo che servirebbe da un lato un concreto e solido percorso di valorizzazione dei professionisti dell’assistenza per garantire ai cittadini la forza e la solidità di chi mette in gioco ogni giorno competenze, elevate responsabilità e qualità umane.
La politica, dall’altra parte, deve agire a 360 gradi, e questo purtroppo non avviene, visto che, in quanto a investimenti per il settore sanitario, siamo oltre tutto nettamente sotto la media dei paesi Ocse, sia come spesa pro capite che in rapporto al Pil.
Senza infermieri si muore! Senza professionisti dell’assistenza, del già fragile castello di sabbia sopra citato, rischia di non rimanere davvero nulla. Senza infermieri non c’è salute, senza infermieri non c’è futuro.
L’attuale contesto sanitario ci pone di fronte a importanti cambiamenti ma anche a numerose criticità, tra le quali una delle più importanti è determinata dalla carenza di infermieri (da 175mila a 220mila), che, se non arginata, rischia di rendere insostenibile l’assistenza dell’intero sistema sanitario.
Secondo studi internazionali (come Rn4Cast, pubblicato su The Lancet), ipotizzando che si riuscisse ad avere un rapporto di un infermiere ogni sei pazienti, ovvero la soglia sotto la quale non si dovrebbe scendere (ma oggi la media italiana è 1:11, addirittura peggiorata rispetto al dato 1:9,5 del 2019), potrebbero essere evitate ben 3.500 morti l’anno, con un impatto di tutto rispetto sull’aspettativa di vita, che si è tristemente abbassata.
Nella dotazione organica, rapporto infermiere/pazienti, a ogni aumento di un’unità paziente per infermiere, la probabilità di morte del paziente aumenta del 7%. A ogni aumento del 10% di personale infermieristico laureato corrisponde una diminuzione del 7% di mortalità.
E’ indispensabile anche un intervento radicale sulla valorizzazione dei professionisti dell’assistenza, che aiuti ad avvicinare i giovani, a ricostruire l’impalcatura contrattuale dalle basi. Occorre farlo adesso, senza indugi», chiosa De Palma.