Per la prima volta, da 25 anni a oggi, il terziario di mercato ha smesso di spingere Pil e occupazione. Dall’arrivo della pandemia perso quasi un milione e mezzo di posti di lavoro. Crollano i consumi nell’abbigliamento, nei trasporti, nel tempo libero, negli alberghi e nella ristorazione…
Il coronavirus ha colpito in modo trasversale l’intera società, sconvolgendo la vita quotidiana e colpendo in modo più o meno pesante tutti i settori produttivi ma in particolare quello che fino al febbraio del 2020 era diventato il fiore all’occhiello della nostra economia e che offriva il contributo più “pesante” al Pil e all’occupazione con quasi 3 milioni di nuovi posti di lavoro creati tra il 1995 e il 2019: il terziario di mercato. Quando parliamo di terziario di mercato, ci riferiamo ad una realtà che comprende un universo molto vario di attività: commercio, turismo, servizi di alloggio e ristorazione, traporti , attività artistiche, intrattenimento e divertimento. Per fotografare la crisi ci sono ovviamente i numeri che sono stati declinati nel rapporto dell’Ufficio Studi Confcommercio “La prima grande crisi del terziario di mercato” (documento pdf).
Per la prima volta, dopo venticinque anni di crescita ininterrotta, si riduce la quota di valore aggiunto di questo comparto (-9,6% rispetto al 2019) al cui interno i settori del commercio, del turismo, dei servizi e dei trasporti arrivano a perdere complessivamente il 13,2%; i maggiori cali nella filiera turistica (-40,1% per i servizi di alloggio e ristorazione), seguita dal settore delle attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (-27%) e dai trasporti (-17,1%); ma gli effetti della pandemia hanno “impattato” in maniera consistente anche sui consumi con quasi 130 miliardi di spesa persa di cui l’83%, pari a circa 107 miliardi di euro, in soli quattro macro-settori: abbigliamento e calzature, trasporti, ricreazione, spettacoli e cultura e alberghi e pubblici esercizi. Cifre che si traducono in una perdita di un milione e mezzo di occupati.