IL MEZZOGIORNO “RIPARTE” DAL PNRR

Secondo l’Ufficio Studi Confcommercio dal Piano Nazionale di Resistenza e Resilienza arriveranno più investimenti per rilanciare la produttività del Sud e ridurre il gap con il resto del Paese.

Il nostro Paese si trova davanti a una prova decisiva: portare a termine entro il 2026 gli obiettivi del Pnrr nell’ambito del programma dell’Unione Europea noto come Next Generation EU. Un’occasione da non perdere per ricostruire dopo la pandemia un tessuto economico e sociale coniugando e incentivando le opportunità connesse alla transizione ecologica e digitale. Per capire quanto e come potrebbe impattare sull’economia italiana la realizzazione dei progetti contenuti nel Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, l’Ufficio Studi Confcommercio è partito dal Mezzogiorno il punto storicamente più debole del nostro sistema economico che però proprio grazie al Pnrr potrebbe recuperare un bel pezzo del terreno perso.

Investimenti e produttività nel lavoro

Presentando l’indagine, il direttore dell’Ufficio Studi, Mariano Bella, ha sottolineato che “l’accumulazione di capitale, l’incremento demografico, se implica quello dei livelli occupazionali, e il progresso tecnologico influenzano il livello del prodotto aggregato di un’economia e la sua crescita nel tempo. Lo stock di capitale dipende direttamente dagli investimenti. Quindi per aggiustare le cose nel nostro Sud una strada importante è quella degli investimenti”. “Nel 2019 – ha proseguito Bella – gli investimenti per occupato equivalente sono inferiori nel Sud ai livelli di 24 anni prima, mentre nel Centro-Nord sono superiori. È come se il Mezzogiorno credesse meno in se stesso, anzi come se non credesse nel proprio futuro: credere nel futuro è infatti la molla per investire. Dunque c’è un ampio divario tra aree geografiche negli investimenti per occupato a tempo pieno. Questo ha impatti sulla ricchezza prodotta nelle diverse regioni”. “Quindi, per ridurre i divari territoriali, purtroppo strutturali, che caratterizzano il nostro sistema produttivo, è certamente importante potenziare gli investimenti nel Mezzogiorno mentre è semplicemente fondamentale potenziare il suo mercato del lavoro, rendendolo più attrattivo, più efficiente e più dinamico”.

Popolazione e occupazione

Poi il direttore ha affrontato il tema della crescita, o meglio la decrescita demografica strettamente connesso a quello degli investimenti e dell’occupazione. “La prima fonte della crescita ha radici nella dinamica della demografica. La popolazione italiana complessiva è in riduzione dal 2015, proseguendo il suo calo anche nel 2019. Queste dinamiche sono quasi completamente determinate dalla demografia del Mezzogiorno. Mentre tra il 1995 e il 2019 la popolazione del Centro-Nord è passata da 36,2 a 36,5 milioni di unità, quella del Sud nello stesso periodo è scesa da 20,7 a 20,3 milioni”. “Sul piano dei flussi interni – ha detto Bella – fino agli anni novanta l’emigrazione da Sud a Nord allargava la base produttiva delle regioni italiane più ricche e produttive, oggi dal Nord stesso si emigra verso altri Paesi. L’investimento in istruzione, piccolo o grande che sia, sui giovani italiani contribuisce prospetticamente a incrementare il PIL di altre nazioni. Incentivi all’occupazione meridionale, decontribuzioni e regimi di favore avranno progressivamente minore efficacia a fronte di un bacino di occupati potenziali che si restringe per cause più profonde di demografia e di contesto sociale e produttivo”. “E poi non si può dimenticare – ha osservato – che esiste un Sud del Sud: sto parlando del tasso di occupazione generale e femminile. Se il Centro-Nord si avvicina al resto d’Europa, il Sud ne resta troppo lontano, soprattutto nella componente femminile. In pratica, in ampie aree del nostro Mezzogiorno non conviene lavorare, soprattutto alle donne, perché non si guadagna abbastanza e si perde molto in termini di servizi pubblici che non esistono, a partire dagli asili nido. O si aggiustano queste condizioni di contesto o gli incentivi, come detto, potranno fare poco”.

I difetti strutturali

Secondo Bella un altro tema da porre all’attenzione è quello degli storici problemi infrastrutturali e sistemici del Meridione. “La produttività dei fattori e quella sistemica dipendono dal contesto in cui si opera. Le politiche per il riequilibrio territoriale dovrebbero passare da un piano di riduzione dei difetti strutturali del Mezzogiorno: controllo del territorio e contrasto alla micro-illegalità, digitalizzazione e innovazione nel rapporto burocratico tra cittadini e controparte istituzionale, investimento nell’istruzione di ogni ordine e grado, con ampio intervento su formazione e trasformazione continua delle abilità e delle competenze e, soprattutto, riduzione dei gap infrastrutturali di accessibilità, dai trasporti alla banda larga, che non permettono un’adeguata connessione socio-produttiva del Sud col resto del Paese e, soprattutto, con l’Europa”.

Il turismo risorsa da mettere a reddito

Parlando di turismo, Bella ha sottolineato che per comprendere meglio il fenomeno bisogna guardare “al rapporto tra spesa dei turisti stranieri nei territori e consumi complessivi nelle regioni. Possiamo anche lasciare perdere il 2020 e guardare solo al 2019. Il Sud ha un rapporto che sta sotto della metà rispetto alle altre aree del Paese. E l’analisi è già finita: o smettiamo di dire che il nostro Mezzogiorno è una miniera di risorse culturali, artistiche, paesaggistiche, enogastronomiche, perché non è vero, oppure se è vero, ed è vero, dobbiamo metterle a reddito”.

Concludendo la sua analisi, il direttore dell’Ufficio Studi ha parlato della la parte pubblica degli investimenti. “Fino al 2007 – ha detto Bella  il ritmo medio annuo di crescita degli investimenti pubblici a prezzi costanti è molto simile nelle due macro-aree, mentre ben più significativa è la flessione che interessa le aree meridionali a partire dal 2008, -3,3% medio annuo rispetto al -2,6% del Centro-Nord”. “In realtà – ha proseguito  il dato davvero preoccupante per il Mezzogiorno è che l’inadeguatezza degli investimenti pubblici si affianca a una ben più grave dinamica degli investimenti privati, già presente nel periodo pre-recessivo, ma accentuatasi a partire dal 2008, quando il calo medio annuo ha superato il 3%, rispetto alla flessione dell’1,2% del C-N: e parliamo di medie annue di riduzione. In pratica, negli ultimi venticinque anni gli investimenti privati nel Sud si sono sistematicamente ridotti ad un ritmo del mezzo punto percentuale annuo, contro all’opposto un incremento medio annuo dello 0,7% al Centro-Nord”.