In Sicilia il 47% delle famiglie vive unicamente di lavoro a tempo determinato. Gli occupati sono poco più di un milione 300 mila. E per effetto di una pandemia che ha determinato l’aggravamento della precarietà sociale, con pesanti ricadute su famiglie e imprese, a rischio sono 150 mila posti. Sullo sfondo di un’economia che da trent’anni lascia l’Isola ultima in Italia per reddito pro-capite. E vede il Sud ipotecato da ritardi strutturali appesantiti ora dalla più grande crisi dal secondo dopoguerra. La denuncia è dei sindacati confederali che stamani hanno tenuto a Palermo la prima manifestazione regionale all’aperto dell’epoca Covid, nell’ambito della Giornata di mobilitazione nazionale intitolata Ripartire dal Lavoro.
In Sicilia il raduno s’è svolto nel Foro Italico di Palermo. In un’area delimitata. E nel rispetto delle norme su distanziamento e sicurezza. Dal palco si sono alternati i segretari di Cgil Cisl e Uil siciliane, Alfio Mannino, Sebastiano Cappuccio e Claudio Barone. E nove delegati in rappresentanza dei diversi settori dell’economia, i quali hanno puntato i riflettori sulle principali vertenze in corso: dalla scuola alla sanità al commercio alle questioni dell’edilizia e dell’agricoltura, ai temi che riguardano i pensionati, i giovani e la pubblica amministrazione. Ha moderato Salvo Toscano, direttore di Livesicilia.it. Gigi Sbarra, segretario generale aggiunto della Cisl nazionale, ha tirato le fila di interventi e manifestazione.
Cgil Cisl e Uil, dal palco che affiancava il mare azzurro di Palermo, a Palazzo d’Orleans hanno chiesto un tavolo permanente che abbia all’ordine del giorno i temi dello sviluppo. E dei ritardi di sviluppo. “Perché le imprese e i lavoratori siciliani – hanno reso noto – rischiano quattro volte di più che nel resto d’Italia”. La Sicilia ha bisogno di modernizzazione e sburocratizzazione, hanno detto. E ha bisogno che governo e parti sociali, assieme, definiscano obiettivi, tempi, risorse e priorità degli investimenti cui dare corso nei prossimi mesi. In pratica, serve un piano di ricostruzione a breve e medio-lungo termine, che abbia al centro, sul doppio fronte regionale e nazionale, “infrastrutture, lavoro, salute e medicina del territorio, welfare, ambiente, agroalimentare, pubblica amministrazione, edilizia, industria, turismo e beni culturali”.
“Servono investimenti per lo sviluppo”, ha detto Mannino. “Noi rivendichiamo l’applicazione della clausola del 34% non rispettata fino all’ultima Finanziaria. Ma occorrerà puntare su una gestione unitaria e organica delle risorse col coinvolgimento dei territori, per evitarne la frammentazione. E va realizzato un modello di sviluppo centrato sulla sostenibilità ambientale. Inoltre, occorrerà vigilare per evitare le infiltrazioni mafiose”. Quanto al governo regionale, “esca da questa fase di stallo ed eviti sterili contrapposizioni col governo nazionale, partecipando a un confronto costruttivo, nell’interesse della Sicilia e dei siciliani”.
Per Cappuccio “è urgente un’accelerazione che dia rapidamente corpo alle Zone economiche speciali, sostenendo anche l’economia turistico-culturale e il sistema dei servizi”. E si può anche pensare a “Zes specializzate per i distretti turistico-culturali”. Inoltre servono, più attenzione ai temi della coesione sociale, della non-autosufficienza, della povertà. E grazie anche alla nuova sensibilità consolidatasi in Europa, una “fiscalità compensativa capace di attrarre dall’esterno, nell’Isola, nuovi investimenti”. Ma c’è anche bisogno di un piano che colleghi percorsi formativi e mondo del lavoro. “Va fermata l’emorragia di giovani, ben 25 mila, che ogni anno fanno la valigia, mettono sottobraccio i loro libri. E vanno via”.
Barone ha rimarcato che “in Sicilia manca una politica industriale”. Difesa dei posti di lavoro produttivi e tutela dell’ambiente non vanno contrapposti. Anzi, “bisogna creare le condizioni perché partano i grandi investimenti per la transizione all’economia green, grazie alle risorse Ue. La macchina regionale non può essere il freno di tutto, bisogna ripensare alle procedure, riorganizzare gli assessorati, valorizzare le professionalità del personale. Lo smart working non è, come sostiene il presidente Musumeci, il paradiso dei fancazzisti. Nel privato ha funzionato, per la pubblica amministrazione può essere un’occasione da non perdere per recuperare efficienza e produttività. E non dimentichiamo che in smart diventa più facile portare lavoro al Sud”.
Insomma, per Cgil Cisl e Uil siciliane il rischio da evitare è “un’uscita dal tunnel della crisi senza ricadute occupazionali. Sarebbe una ripresa zoppa”.
Ed è per neutralizzare il pericolo di una ripartenza farlocca, che al governo Conte i sindacati chiedono di ripartire dal lavoro. Al premier sollecitano una convocazione sul Recovery fund, perché “sono necessari, un quadro coerente di interventi strutturali che superi i ritardi. E a monte, una strategia condivisa con le parti sociali”. Rivendicano misure che restituiscano nuova centralità alle politiche occupazionali attive; alla riforma fiscale; al rinnovo dei contratti; al diritto all’istruzione e a una sanità pubblica “potenziata, mai più cenerentola”. E propongono una riforma della previdenza che riprenda il tema della flessibilità e tuteli le pensioni in corso e quelle future dei giovani. Ancora, sollecitano la digitalizzazione dell’economia. E politiche per la non autosufficienza e l’inclusione sociale.
Chiudendo la giornata di mobilitazione, Sbarra ha sostenuto che “vanno intercettate tutte le ingenti risorse Ue che si aggiungono alle risorse nazionali”: quasi 300 miliardi tra Recovery fund, Mes sanitario e fondo Sure per il lavoro. L’occasione è irripetibile, ha detto. Ma per non sprecarla vanno sbloccati gli investimenti. A partire da infrastrutture, digitalizzazione e transizione verde. Il Recovery Plan, ha quindi sottolineato, deve riconoscere “reale centralità alla questione meridionale come grande questione nazionale ed europea”. Ma il sindacato, ha continuato, chiede anche “la proroga del blocco dei licenziamenti e la copertura degli ammortizzatori, e di innovare e semplificare la cassa integrazione rendendola accessibile a tutti”. In cima all’Agenda Sviluppo in ogni caso, ha insistito, deve esserci la questione-giovani, i più colpiti dalla disoccupazione e dalla marginalità. Per questo, “servono sgravi coraggiosi sul lavoro stabile, un nuovo apprendistato, un sistema di politiche attive che non lasci indietro nessuno, senza reddito e senza formazione”.