Inchiesta Agimeg sul blocco dei pagamenti. Segnali d’allarme dall’America all’Europa

Agimeg: rischia di tramutarsi in un boomerang il blocco dei pagamenti, la misura che il Governo ha inserito nella legge di Bilancio per contrastare il gioco illegale. Negli Stati Uniti questo divieto, che è entrato in vigore nel 2010, ha creato giusto qualche inciampo agli operatori illegali, mentre al contrario ha quasi paralizzato quelli legali, congelando almeno la metà degli accrediti.

 

In Europa, diversi Paesi ci hanno provato – i risultati sono ancora da verificare – e in ogni caso si tratta di mercati legali del gioco molto ristretti, se non addirittura monopoli. Non ci sono insomma – come in Italia – centinaia di operatori legali, ciascuno con i propri siti e una ragnatela di skin. E del resto anche l’Italia ha già introdotto una sorta di blocco nel 2011, la norma formalmente è ancora lì, anche se non è mai stata applicata.

Negli USA il divieto è stato introdotto con l’UIGEA del 2006, la legge federale che vietava qualunque forma di gioco online a eccezione delle scommesse ippiche, ma poi è effettivamente entrato in vigore nel 2010. Qui, secondo gli analisti, gli effetti collaterali sono stati pesantissimi: si è arrivati a bloccare addirittura il 50% delle transazioni destinate a operatori di gioco legali, il mercato illegale invece si è adattato ben presto. Gli USA hanno infatti attuato il blocco basandosi sul MCC, il merchant category code. I payment processor, per suddividere le transazioni, utilizzano questo sistema di codici, a seconda della categoria merceologica del bene o del servizio acquistato. I servizi di spedizione, ad esempio, hanno l’MCC 4215, agenzie di viaggi e tour operator il 4722. Il gioco invece è il 7995. Il codice è sempre lo stesso in tutto il mondo, non varia da un Paese all’altro, di conseguenza nel caso del gambling da solo non basta a capire se una compagnia operi legalmente o meno in uno specifico Stato.

Con l’applicazione dell’UIGEA, le compagnie che gestiscono le carte di credito, come Visa e Mastercard, hanno quindi adottato dei sottocodici, proprio per attuare il blocco. Il sistema però ha dimostrato di avere una serie di falle.
I motivi sono diversi, e alcuni riguardano specificatamente il mercato USA – in cui ogni Stato è una giurisdizione a sé, e ha quindi regole proprie – ma “In sostanza, le banche che emettono le carte di credito hanno potuto decidere se sostenere o meno il gioco. E molte delle principali banche statunitensi hanno deciso di non farlo, il che vuol dire che i loro correntisi non potevano effettuare trasferimenti di denaro nemmeno verso gli operatori legali” spiega a Agimeg Dennis Ehling, Partner della sede di Los Angeles della Blank Rome LLP, e co-presidente della Gaming and Gambling Practice, nonché autore – insieme a Linda J. Shorey – del report “Cracking The Code: UIGEA Compliance and Coding Requirements”.

I giocatori hanno trovato delle alternative, “hanno dovuto utilizzare altri strumenti, magari usare una carta di credito differente, oppure una carta di debito, su cui i controlli sono minori. Ma in ogni caso ci sono state percentuali altissime di operazioni bloccate”, anche se i destinatari erano operatori con licenza. “La percentuale varia da banca a banca, ma complessivamente siamo attorno al 50%”. Il mercato non autorizzato invece “ha avuto qualche inciampo” spiega ancora Ehling. Ma poi si è adattato rapidamente e è riuscito a aggirare il divieto: “Ha utilizzato altri strumenti, come quelli forniti dalle compagnie che offrono servizi di pagamento tipo Paypal (ad esempio gli e-wallet), o gli assegni elettronici, o gli strumenti prepagati. Alcuni sono più dispendiosi per gli operatori, altri sono meno veloci per il giocatore, altri ancora generano un po’ di diffidenza nell’utente”, ma comunque ci sono state molte alternative cui ricorrere.

Dagli Stati Uniti, il blocco dei pagamenti si è diffuso poi in vari Paesi del mondo, e è arrivato anche nell’Unione Europea. Qui – come spiega la Commissione Europea nel report “Evaluation of regulatory tools for enforcing online gambling rules and channelling demand towards controlled offers” – sono 17 gli Stati che finora hanno adottato il divieto, ma solo 8 lo hanno applicato in maniera sistematica (Repubblica Ceca, Grecia, Lettonia, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Slovenia e Romania). La Norvegia peraltro ha anche adottato il blocco delle vincite, quindi ha paralizzato anche i trasferimenti di denaro dagli operatori ai giocatori.

Per quanto riguarda lo strumento adottato per bloccare le operazioni, 4 Paesi utilizzano sistemi misti. Solo la Lettonia si basa sul semplice MCC, mentre l’Ungheria è l’unica che punta a bloccare specifiche transazioni, sei Stati invece cercano di stoppare le transazioni verso i conti degli operatori illegali. Ma in quest’ultimo caso, gli stessi Paesi ammettono che è molto difficile individuarli tutti. E, a prescindere dal sistema adottato, molti Stati riconoscono che il blocco in sé non abbia particolari effetti. Ungheria e Repubblica Ceca parlano di un mero effetto deterrente, l’Estonia sottolinea che il divieto sia facilmente aggirabile quando il payment provider risiede al di fuori dei confini statali.

Il problema è che “le competenze degli enti regolatori dei giochi non sono così ampie da coprire il mercato dei pagamenti”, riassume invece la Commissione Europea, secondo cui questa misura ha avuto meno successo della black-list, ovvero l’oscuramento dei siti di gioco vietati. Bisogna infatti considerare una serie di fattori: i pagamenti possono essere gestiti da società internazionali che magari non hanno sedi all’interno dello Stato che impone il divieto; le licenze di gioco valgono nel Paese che le ha emesse, ma non hanno alcun valore negli altri: di conseguenza un operatore può essere del tutto legale in uno Stato e non avere licenza per quello accanto, per le compagnie che gestiscono i pagamenti districarsi può essere complicato; e ancora ci sono una serie di strumenti come e-wallet e criptovalute a cui il blocco non si può applicare.

“Il blocco dei pagamenti è un altro strumento per rafforzare i confini nazionali, mentre internet non ha alcun confine”. Maarten Haijer – segretario generale dell’EGBA, l’associazione che rappresenta gli operatori comunitari dell’online – invece mette proprio in discussione la legittimità dello strumento, all’interno del diritto comunitario. “Il mercato del gioco online è per sua natura trans-nazionale e l’EGBA sostiene la libera circolazione dei capitali, che viene garantita dai principi del mercato unico” spiega ancora a Agimeg. “Il blocco dei pagamenti può tradursi in un abuso, quando viene utilizzato per dare attuazione a un sistema protezionistico o un monopolio. E’ il caso della Norvegia, in cui l’intento è quello di proteggere il monopolio, piuttosto che i consumatori”. Ma Haijer spiega anche che non è facile applicare la misura concretamente: “Il problema maggiore sono i vincoli amministrativi che vengono imposti agli istituti finanziari e ai payment processor per distinguere le operazioni legate al gioco dalle altre”. Il che si traduce quindi in un’attività “complessa e costosa”. Ma non solo: “individuare e classificare questo genere di operazioni richiede una serie di indagini sulle transazioni effettuate dal consumatore. E questo genera una serie di preoccupazioni per la privacy, e potrebbe essere in contrasto con le normative nazionali sulla protezione dei dati”, puntualizza Haijer. E racconta quindi, che il blocco dei pagamenti in alcuni casi non solo abbia avuto ripercussioni sul mercato legale dei giochi, ma addirittura su altri settori: “è il caso della Norvegia, dove i payment processor a volte sono stati costretti a bloccare transazioni che non avevano nulla a che fare con il gioco, ma con altri servizi, perché altrimenti avrebbero violato la norma”

L’Italia ha già introdotto una norma simile nel 2011, con la Manovra correttiva dell’allora Governo Berlusconi. In questo caso, banche e istituti finanziari devono segnalare ai Monopoli chi compie transazioni verso operatori non autorizzati. Piazza Mastai, dal canto suo, avrebbe dovuto predisporre un elenco di queste compagnie. La misura però non è mai entrata in vigore, secondo la Commissione Europea – che su questo aspetto cita esperti del settore – i Ministeri competenti non hanno mai raggiunto un’intesa. E a un’ulteriore prova di quanto sia complessa questa misura c’è il fatto che né Banca d’Italia, né l’Associazione delle Banche d’Italia hanno voluto prendere posizione. L’ABI però spiega a Agimeg di non essere stata interpellata dal Governo sulla fattibilità del divieto. E sulla possibilità di distinguere gli operatori legali da quelli illegali, invece, invita a interpellare direttamente i circuiti di pagamento.

“La lista delle transazioni può essere sicuramente verificata dal circuito di emissione della carta di pagamento stessa, ma non in toto dall’issuer” spiegano a Agimeg dalla Domec, fintech milanese attiva nel settore dei pagamenti innovativi che può vantare partnership con società come Paypal, Amazon, Tim, Poste Italiane e anche SisalPay. In sostanza, quando si effettua un pagamento con una carta di credito, l’operazione passa attraverso una serie di soggetti differenti: il circuito che ha emesso la carta – come la Visa o la MasterCard – l’issuer, ovvero la banca presso cui il titolare ha il conto corrente, ma anche alcune figure intermedie – come gli acquirer – che, tra l’altro, hanno il compito di scambiare le informazioni tra i primi due. “Questo meccanismo porta a delle aree grigie dove gli istituti di credito non possono intervenire” spiegano dalla Domec. Gli issuer infatti non hanno il pieno controllo dell’operazione, perché solo il circuito di emissione e l’acquirer vedono l’intera sequenza di passaggi. I circuiti sono però soggetti esteri che difficilmente potranno essere sanzionati per non aver imposto il blocco. Tra gli acquirer, invece, ci sono anche delle compagnie italiane, che a questo punto sono i veri destinatari della norma: ogni volta che consentiranno a un giocatore di accreditare una manciata di euro su un conto di gioco estero, potrebbero essere costretti a pagare una multa da 300mila a 1,3 milioni. In uno scenario in cui non sarà facile distinguere un concessionario da un operatore illegale. “Già da tempo banche e gli istituti finanziari cercano di andare con i classici piedi di piombo verso i player del gambling, soprattutto online, anche a volte ricorrendo a restrizioni vere e proprie verso le società che operano nel settore” commentano ancora dalla Domec. “Queste nuove procedure sanzionatorie potrebbero sicuramente irrigidire ulteriormente le loro posizioni”. Il rischio insomma è di trovarsi di fronte a uno scenario simile a quello che Dennis Ehling ha descritto per gli Stati Uniti.

I concessionari italiani però plaudono all’iniziativa del Governo: “Lo abbiamo chiesto per anni – doveva essere varato già diverso tempo fa, ma poi il progetto è stato abbandonato – e ci fa piacere che il Governo ci abbia finalmente ascoltato”, spiega a Agimeg Moreno Marasco, presidente di LOGiCO, l’associazione che riunisce i principali operatori dell’online italiani. Secondo Marasco, “è improbabile che vada a svantaggio degli operatori legali”. Ma anche lui riconosce che le banche italiane stanno sostenendo sempre meno il settore del gioco. “Alcuni istituti di credito italiani già oggi si rifiutano di concedere fideiussioni, o addirittura di aprire conti correnti, ai concessionari. Gli stessi istituti però rilasciano carte di credito con cui è possibile giocare su siti senza concessione. E’ una situazione paradossale” commenta Marasco. “Gli istituti di credito sembra quasi che utilizzino l’elenco dei concessionari come una sorta di black-list, mentre l’operatore illegale viene ignorato e può transare con le modalità che preferisce”. Per il Presidente di LOGiCO, però, la norma avrà quantomeno un effetto deterrente, “è positivo che il Governo abbia riconosciuto questa esigenza. E dimostra una certa coerenza a livello normativo”. In ogni caso, “tutto dipende da come il divieto viene implementato, il Governo dovrebbe cercare di avvantaggiare gli operatori legali rimuovendo i blocchi imposti delle banche” conclude. “Mi auguro fornirà tutta la documentazione necessaria sia per evitare problemi agli istituti di credito, sia per non paralizzare il sistema concessorio”.