L’Italia è un paese sempre più vecchio: calano le nascite, aumentano in modo esponenziale gli over 65 e addirittura siamo la seconda nazione europea, dopo la Francia, con il maggior numero di ultra centenari.
Il progressivo calo delle nascite e il conseguente e inesorabile invecchiamento della popolazione devono, gioca forza, porci di fronte a indispensabili riflessioni.
Nel 2021 l’età media si è innalzata di tre anni rispetto al 2011 (da 43 a 46 anni). La Campania continua a essere la regione più giovane (età media di 43,6 anni) mentre la Liguria si conferma quella più anziana (49,4, anni).
L’Istituto Superiore della Sanità afferma che negli ultimi 50 anni l’invecchiamento della popolazione italiana è stato uno dei più rapidi tra i Paesi maggiormente sviluppati e si stima che nel 2050 la quota di ultra6 5enni ammonterà al 35,9% della popolazione totale, con un’attesa di vita media pari a 82,5 anni (79,5 per gli uomini e 85,6 per le donne).
Non dimentichiamo che l’Istat, ai recenti stati generali della natalità, ha affermato che siamo ai minimi storici come nascite: e che tra 10 anni le previsioni catastrofiche indicano, nel tragico bilancio dei nuovi nati rispetto ai decessi, che potremmo essere 11 milioni in meno.
Nel 2050 saranno 5,4 milioni gli anziani non autosufficienti e nel 2030 – tra appena sette anni – 4,4 milioni.
Tutto questo non può non includere in modo diretto la sanità italiana.
Se, quindi, da un lato l’invecchiamento progressivo della popolazione è un importante obiettivo della sanità pubblica dall’altro, l’aumento delle patologie croniche rappresenta una priorità del sistema sanitario.
Cardiopatie (Infarto del miocardio, ischemia cardiaca o malattia delle coronarie o altre malattie del cuore), Ictus o ischemia cerebrale, tumori (comprese leucemie e linfomi), malattie respiratorie croniche (bronchite cronica, enfisema, insufficienza respiratoria, asma bronchiale), diabete, malattie croniche del fegato e/o cirrosi, Insufficienza renale: sono queste le patologie croniche che rappresentano e rappresenteranno nel prossimo futuro le principali cause di morte e di morbilità.
Ci sono domande che un sindacato di professionisti come il nostro a questo punto deve porsi.
Qualcuno ha forse dimenticato che se invecchiano gli uomini e le donne, da una parte, dall’altra è in costante aumento anche l’età media degli infermieri, con un dato, 56,49 di età media, aggiornato al 2022, che deve essere concretamente fonte di preoccupazione per le istituzioni.
Chi si occuperà degli anziani e delle loro patologie croniche, se non costruiamo una nuova sanità, tutti insieme, ognuno con il proprio ruolo, ognuno con le proprie differenti funzioni, ma capaci di dialogare e lavorare in sinergia?
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Con una carenza strutturale di 65-80 mila infermieri, che si traduce in realtà in almeno 150mila (dati Agenas Marzo 2023), da Nord a Sud, rispetto agli standard degli altri paesi europei che corrono veloce verso il progresso sanitario, ma soprattutto con l’invecchiamento della popolazione infermieristica, il problema che emerge alla radice è chiaro: il nostro servizio sanitario pubblico, allo stato attuale, e quello privato, non sono assolutamente in grado di fronteggiare le nuove sfide che gioco forza avremo di fronte.
Il nuovo piano del Pnrr, inoltre, ancora lontano dall’essere completato, indica che occorrono altri 35mila infermieri per essere al pari con il fabbisogno assistenziale della popolazione.
Se guardiamo a questi dati, inconfutabili, non possiamo non chiederci insistentemente se il sistema sanitario italiano sarà nella condizione, da qui ai prossimi 25 anni, di disporre delle risorse che serviranno, ovvero in primis professionisti sempre più specializzati, in secondo luogo strutture adeguate e una organizzazione degna di tal nome, per prendersi cura dei pazienti più anziani.
I nostri infermieri, i responsabili numero uno dell’assistenza sanitaria, con la loro crescente autonomia, potrebbero essere certamente in grado di rappresentare l’arma vincente per la tutela della salute degli anziani.
Attenzione, abbiamo detto potrebbero. Perché diminuiscono gli iscritti ai corsi di studio delle professioni sanitarie, perché le nostre eccellenze fuggono all’estero verso prospettive di carriera degne di tal nome, perché manca un solido ricambio generazionale per sostituire chi legittimamente va in pensione, perché la professione infermieristica perde di appeal, sempre di più, giorno dopo giorno, con la conseguenza, drammatica, dell’aumento delle dimissioni volontarie.
Oggi siamo di fronte a un esercito di infermieri stanchi, stressati, logorati, soprattutto infelici.
E se non ripartiamo dalla loro valorizzazione, saremo ben lontani dall’essere capaci di prenderci cura dei nostri anziani
Gli infermieri del domani siano finalmente “figli legittimi” di un sistema sanitario che li renda capaci di esprimere al meglio le loro competenze per prendersi cura di tutti noi», chiosa De Palma.