Annullati in un solo anno i progressi raggiunti in dieci anni nella salute. La salute è una dimensione cruciale per il benessere – prima nella graduatoria di importanza dei domini stilata dai cittadini nell’iniziale fase di consultazione -, che oggi viene colpita duramente.
Nel decennio, la speranza di vita alla nascita ha mostrato miglioramenti progressivi, accompagnati da dati positivi per la speranza di vita senza limitazioni a 65 anni, sul fronte della mortalità per tumore, della mortalità per demenze e malattie del sistema nervoso degli anziani, della mortalità infantile e della sedentarietà. Tra il 2010 e il 2019, i benefici maggiori sono andati a favore degli uomini, che hanno così recuperato, anche se parzialmente,
lo svantaggio rispetto alle donne. Queste ultime hanno guadagnato nel decennio un solo anno nell’aspettativa di vita alla nascita, contro i due in più acquisiti dagli uomini. A livello territoriale, si osserva una certa eterogeneità: a esempio, nel Lazio sono quasi tre gli anni in più conquistati dagli uomini e circa due dalle donne; all’estremo opposto si collocano Basilicata e Calabria, dove i progressi si misurano in poco più di un anno per gli uomini e solo sei mesi per le donne. Questo quadro complessivamente positivo, pure se con evidenti disuguaglianze geografiche, è stato duramente colpito dal COVID-19, che ha annullato, completamente nel Nord e parzialmente nelle altre aree del Paese, i guadagni in anni di vita attesi maturati nel decennio. È un arretramento che richiederà parecchio tempo per essere pienamente recuperato.
La peculiarità del periodo storico che stiamo vivendo, a un anno dall’inizio della pandemia, ha reso ancora più evidente l’inadeguatezza del Pil come unica misura del benessere di una popolazione. L’importanza di avere un insieme di indicatori che rispondessero a questo fine, sostenuta dalla letteratura fino dagli anni Sessanta e sollecitata dalla società civile, ha portato l’Istat ad avviare nel 2010, insieme al Cnel, il progetto Bes, per la misurazione del Benessere equo e sostenibile. L’esito, al quale si è giunti al termine di un processo di analisi aperto al confronto con la comunità scientifica, le associazioni e i cittadini, è stato l’individuazione di 12 domini rilevanti per il benessere e la selezione di circa 130 indicatori in grado di misurare i diversi aspetti – condizioni materiali e qualità della vita – che a essi afferiscono.
Nel Rapporto si aggiunge un nuovo tassello a questo processo, con l’aggiornamento del sistema di indicatori messo a punto per seguire l’evoluzione del concetto di benessere e cogliere le profonde trasformazioni in atto, ivi incluse quelle determinate dalla pandemia da COVID-19.
In dieci anni meno posti letto, medici più anziani e maggiore disuguaglianza nell’accesso alle cure
Gli indicatori sulla qualità dei servizi sanitari possono fornire elementi utili per valutare in quale situazione si è inserita la pandemia da COVID-19 e comprendere quali strumenti abbiamo a disposizione per poter recuperare i danni il più velocemente possibile. Tra il 2010 e il 2018, l’offerta ospedaliera è andata modificandosi, con una riduzione delle strutture e dei posti letto. In particolare, il numero di questi ultimi è diminuito in media dell’1,8% l’anno, fino ad arrivare, nel 2018, a una dotazione di 3,49 posti letto – ordinari e in day hospital – ogni 1.000 abitanti. Nello stesso periodo, è calato anche il numero di posti letto nei reparti a elevata intensità assistenziale (da 3,51 per 10 mila abitanti nel 2010 a 3,04). Parallelamente, i dati mostrano un peggioramento relativo delle chance di cura in alcuni territori: il tasso di mobilità per motivi di cura dalle regioni meridionali e dal Centro, già significativamente più alto nel 2010, è da allora in costante crescita e il gap tra territori si è ulteriormente ampliato. È molto probabile che il dato del 2020 mostrerà un calo, che tuttavia non sarà da leggere come elemento positivo di riduzione delle disuguaglianze territoriali, bensì come il risultato delle limitazioni negli spostamenti determinate dalle misure di contrasto alla pandemia di COVID-19 e della diminuzione delle prestazioni conseguente all’emergenza sanitaria.
Quanto alla dotazione di personale sanitario, l’Italia si colloca tra i primi posti nella graduatoria europea del rapporto tra numero di medici – specialisti, di base e pediatri di libera scelta che svolgono la loro attività nel sistema sanitario pubblico e privato – e numero di residenti. Negli ultimi anni, tale rapporto è in leggero aumento, essendo passato da 3,9 ogni 1.000 abitanti nel 2013 a 4 nel 2019. L’ età media dei medici è, però, molto alta e il sovraccarico di pazienti sui medici di medicina generale appare in aumento, soprattutto nell’Italia settentrionale. Particolarmente critica è la situazione degli infermieri: il numero di infermieri e ostetriche è aumentato fino al 2017 (da 5,3 ogni 1.000 abitanti nel 2013 a 6,1) per rimanere stabile negli anni successivi. Il rapporto numerico infermieri/ popolazione è molto sbilanciato rispetto ad altri paesi: la Germania, a esempio, ha più del doppio degli infermieri per abitante.