L’indice relativo alle aziende raggiunge a gennaio (a 109,1 da 107,9), un livello superiore alla media del 2022, mentre per i consumatori l’Istat stima un calo da 102,5 a 100,9. Confcommercio: “segnali contrastanti, prossimi mesi ancora difficili”.
Dopo l’aumento complessivo di dicembre, a gennaio ad aumentare è solo il clima di fiducia delle imprese (da 107,9 a 109,1), mentre cala la fiducia dei consumatori (da 102,5 a 100,9).
Per le imprese si tratta del terzo mese consecutivo con il segno più a “un livello superiore alla media del periodo gennaio-dicembre 2022″. Il clima di fiducia migliora in tutti i comparti, tranne che nel commercio al dettaglio dove l’indice passa da 112,4 a 110,3. A registrare gli incrementi più marcati sono servizi di mercato e costruzioni (l’indice passa rispettivamente da 102,4 a 104,2 e da 156,6 a 158,8), mentre nella manifattura l’Istat (leggi i dati completi in pdf) stima un aumento dell’indice da 101,5 a 102,7. Nei servizi di mercato tutte le variabili sono in miglioramento, mentre nel comparto del commercio al dettaglio i giudizi sulle vendite sono stimati in deciso miglioramento e le scorte di magazzino in accumulo. Le attese sulle vendite, invece, diminuiscono.
Per quanto riguarda invece i consumatori sono in peggioramento tutte le serie che compongono l’indice, tranne le aspettative sulla situazione economica generale e quelle sulle disoccupazione. Il clima economico e il clima futuro aumentano (rispettivamente da 106,3 a 107,6 e da 108,2 a 108,6), mentre il clima personale e quello corrente calano (nell’ordine, da 101,2 a 98,6 e da 98,6 a 95,7).
“Il 2023 si apre con segnali contrastanti sulla fiducia degli operatori economici. Il miglioramento del sentiment degli imprenditori lascia ben sperare per una ripresa nella tarda primavera, con rafforzamento nella parte finale dell’anno. Ma prima bisognerà affrontare almeno un trimestre difficile. La possibile fase recessiva sarebbe innescata dalla frenata dei consumi, come confermato oggi dalla riduzione della fiducia delle famiglie, le cui conseguenze già si leggono nel deterioramento della fiducia presso le imprese del commercio al dettaglio. La persistenza di un’elevata inflazione, ancorché in calo rispetto ai picchi raggiunti negli ultimi mesi dello scorso anno, non può che ridurre il potere d’acquisto dei redditi correnti e della ricchezza non protetta dall’incremento dei prezzi. I pure ingenti sostegni pubblici alle famiglie e alle imprese non sono sufficienti per neutralizzarne completamente gli effetti negativi sulla spesa e, quindi, sulla produzione interna”: questo il commento dell’Ufficio Studi di Confcommercio.