Indagine mondiale rivela che il 62% di professionisti dell’area non medica è a oggi infelice del proprio lavoro, ma peggio va in certi paesi come l’Italia, dove le carenze di organico, le violenze nelle corsie, i turni massacranti, aggravano ulteriormente tale condizione, mettendo a rischio la stabilità e la qualità dei servizi sanitari offerti ai cittadini.
ROMA – Infermieri italiani aggrediti fisicamente nelle corsie (130mila all’anno in media, 1600 casi ufficiali solo nel 2022) e colpevolizzati dalla collettività con una fiducia dei cittadini sempre più in calo.
Infermieri non valorizzati economicamente da troppo tempo, con retribuzioni tra le più basse d’Europa, che non reggono il passo con l’aumento del costo della vita, proiettandoci a pochi passi dalla soglia della povertà. Infermieri soprattutto infelici e in fuga verso ambienti più gratificanti (6mila giovani infermieri andati via dall’Italia nel 2023), infermieri che si dimettono in massa dal pubblico per approdare alla libera professione, oppure che cambiano addirittura lavoro lasciando per sempre la sanità.
I pesanti dati delle indagini mondiali e nazionali, uniti ai nostri sondaggi social e alle nostre campagne stampa, rivelano il momento nero dei professionisti dell’assistenza e il fallimento delle politiche sanitarie, con la conseguenza del rischio di prestazioni sempre più carenti offerte alla collettività.
E tutto questo rispetto a un fabbisogno di cure che aumenta nettamente, con una popolazione italiana ai primissimi posti in Europa per invecchiamento, con l’aumento di patologie croniche da dover affrontare e gestire.
Nella Giornata 2024 degli infermieri, che si celebra domenica 12 maggio, c’è ben poco da festeggiare per i nostri professionisti dell’assistenza!
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
«Nemmeno i dati mondiali sullo stato psicofisico degli infermieri sono in grado di rappresentare cosa accade in Italia, dove, la carenza di professionisti si attesta a 175mila unità, fino a toccare picchi di 220mila, come emerso dalla nostra indagine presentata nel Congresso Nazionale dei Quadri Dirigenti di ottobre 2023.
Ma vi è di più, perché dallo scorso febbraio, traendo le mosse dall’indagine mondiale, Nursing Up ha effettuato un sondaggio social in Italia, a cui ha risposto parte degli iscritti, raccontando le proprie condizioni di lavoro quotidiane.
Le frasi arrivate rispetto alle domande chiave che abbiamo posto agli infermieri sono state davvero allarmanti.
“Mi sento oppressa, mi sento vulnerabile, mi sento svuotata nella mia identità di donna e di professionista”.
“Sono scoppiata dentro, stanca, delusa, amareggiata, mi sento usata e gettata, mi sento defraudata di tutto”.
Sono queste alcune delle frasi shock che hanno caratterizzato la nostra indagine.
«Abbiamo avviato sondaggi sui social con domande chiave a cui rispondere da parte dei professionisti sanitari – continua De Palma – ci hanno colpito nel profondo determinate affermazioni, intrise di tristezza e di solitudine, piene di infelicità ma anche di malesseri fisici e psichici che sia chiaro colpiscono come scosse telluriche la già fragile stabilità del nostro sistema sanitario. Impossibile infatti non far valere il paradigma infermieri infelici-pazienti infelici, in parole povere più si abbassa il livello di soddisfazione del professionista sanitario rispetto al proprio contesto lavorativo, più viene minata la qualità dell’assistenza offerta ai cittadini, più lo stress e l’insoddisfazione del professionista giocano un fattore chiave in termini di patologie come la sindrome di burnout (ne soffrono 6 infermieri su 10) ma anche in termini di gravi errori causati da stanchezza e turni massacranti. Dalla revisione della letteratura presentata da uno studio pubblicato sul Journal of Clinical Nursing emerge chiaramente nell’82% dei casi che la stanchezza – sebbene le strategie di misurazione siano marcatamente eterogenee – è associata ad una riduzione delle prestazioni cognitive, alla mancanza di attenzione e vigilanza, ad una scarsa prestazione infermieristica e alla diminuzione della sicurezza del paziente.
In una giornata come questa, continua De Palma, è inevitabile ritrovarci a denunciare quanto accade ogni giorno negli ospedali. Ed è palese come la politica, nazionale e regionale, abbia risposto e stia rispondendo in modo fallimentare alle sollecitazioni di sindacati come il nostro.
D’altronde, la voragine degli organici è lo specchio fedele di una Italia della sanità che arranca, con ben 5 regioni al di sotto addirittura della media nazionale, ovvero Sardegna, Sicilia, Campania, Calabria, e Lombardia. Ma gli infermieri sia chiaro mancano ovunque, in tutte le Regioni, con l’unica differenza che al Nord la grave carenza è compensata da sistemi organizzativi che si reggono ancora a galla ma non emergono certo per qualità! Al Sud è coma profondo, tra disorganizzazione e sanità territoriale allo sbando con le suddette cinque regioni la cui sanità si ritrova pericolosamente a rischio senza infermieri e con una rimodulazione del piano PNRR della Missione Salute voluta dal Governo che non convince affatto e mette a rischio le risorse a disposizione che arrivano dall’Europa!
Il calo di laureati con il rischio di perdere il 30% di professionisti da qui ai prossimi 3 anni, le fughe all’estero, le dimissioni degli infermieri dalla sanità pubblica, lo stress, la disorganizzazione, la paura delle violenze, le botte subite quasi ogni giorno: la Giornata dell’Infermiere 2024 ci delinea un quadro a tinte davvero fosche!
Anche i dati mondiali che arrivano dagli Usa danno in qualche modo impulso alla preoccupazione per la nostra situazione nazionale, mettendone in evidenza, indirettamente, le peculiari criticità: tra gli oltre 9.000 infermieri intervistati, solo il 40% ha dichiarato di essere soddisfatto di essere un infermiere professionista, rispetto al 62%. Lo studio più recente è il quinto sondaggio nazionale realizzato da AACN, AACN: American Association of Critical-Care Nurses.
La maggior parte degli infermieri che vive questa situazione di forte disagio pensa seriamente ogni giorno alla possibilità di abbandonare la professione con una percentuale del 45% che lascerebbe volentieri il proprio lavoro.
Le risposte alla crisi ci sono ancora come e si chiamano investimenti maggiori nel nostro sistema sanitario, si chiamano politiche lungimiranti per ridonare appeal alla professione, si chiamano soprattutto valorizzazione del talento e delle competenze che abbiamo a disposizione senza cercare pericolose vie traverse come l’arrivo di professionisti dall’estero con barriere linguistiche difficilmente superabili con formazioni di poche settimane oppure la creazione di figure surrogate che minerebbero ulteriormente la qualità dei servizi.
Altrimenti si rischia davvero di entrare in un buco nero senza via di uscita», conclude De Palma.