Il balzo dell’inflazione nel 2022, su valori che in Italia non si vedevano dagli anni Ottanta, ha colpito l’economia anzitutto attraverso la riduzione del valore dei redditi percepiti dalle persone: sulla base dei dati ISTAT di contabilità nazionale, la retribuzione di fatto media reale per ULA è diminuita.
Ma nella complessa architettura statistica dei conti nazionali c’è un’altra variabile economica particolarmente importante, da non confondere con le retribuzioni, che aggrega tutti i redditi percepiti (da lavoro e non) dall’insieme delle famiglie italiane: il reddito disponibile, espresso in termini reali. Questo aggregato include anche i contributi ricevuti dal settore pubblico ed è stimato al netto delle tasse.
Al momento, nella contabilità trimestrale, il dato ufficiale ISTAT sul reddito disponibile arriva solo fino al 3° trimestre 2022: il rilascio dei dati sul 4° trimestre è in calendario per il 5 aprile. Nei primi nove mesi del 2022, il reddito disponibile reale delle famiglie italiane era diminuito appena del -0,3% annuo. Sulla base dei dati annuali, è ora presumibile che nel 4° trimestre il reddito abbia subito un altro calo e, inoltre, che per i primi tre trimestri il dato sarà rivisto lievemente al ribasso.
Infatti, utilizzando i dati annuali di contabilità nazionale, il CSC ha stimato il reddito disponibile reale delle famiglie italiane per tutto il 2022. Ne emerge un risultato importante: è diminuito, ma non è crollato come si potrebbe pensare guardando all’aumento record dei prezzi, dell’8,1% annuo. La stima CSC è di un calo del reddito disponibile reale poco oltre l’1,5% (Grafico A).
Questa stima del reddito, che possiamo interpretare come un aver “limitato i danni” a fronte dell’enorme shock sui prezzi, è cruciale per tracciare la dinamica dei consumi complessivi delle famiglie: sia per capire il profilo registrato nel 2022, sia per prevedere gli andamenti nel biennio 2023-24 (si veda il par. 2).
I motivi di questo risultato sono vari:
1) riguardo ai redditi da lavoro, nel 2022 il calo delle retribuzioni pro-capite reali è stato in parte compensato dall’aumento significativo del numero di occupati. Quindi, il valore complessivo dei redditi da lavoro in termini reali è stato eroso solo in misura limitata;
2) l’anno scorso si è registrato un aumento dei redditi “non da lavoro”, che includono quelli da interessi (in crescita, in un contesto di tassi in rialzo) e da distribuzione di utili (compressi, questi ultimi, dai rincari energetici);
3) un aumento dei trasferimenti dal settore pubblico, che includono gli interventi del Governo contro il caro-energia (circa 22 miliardi di euro alle famiglie, senza considerare le misure sui carburanti).
La sostanziale tenuta del reddito disponibile non significa che l’aumento dei prezzi non abbia avuto effetti sfavorevoli. In particolare, l’elevata inflazione può aver peggiorato la distribuzione dei redditi nel Paese. La stessa differenza tra il tasso di inflazione e il deflatore dei consumi evidenzia che le famiglie italiane nella fascia media di reddito hanno dirottato la spesa verso i beni meno impattati dall’aumento dei prezzi. Ciò è avvenuto nonostante gli interventi di policy adottati abbiano tentato di proteggere le fasce più povere della popolazione, come evidenziato dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio.
Per quest’anno, difficilmente l’occupazione sarà in grado di mantenere la dinamica elevata del 2022 e l’andamento delle retribuzioni reali pro-capite sarà ancora negativo, con l’inflazione che rimarrà ancora su livelli storicamente alti. Quindi, il reddito disponibile reale difficilmente riuscirà a recuperare terreno nel 2023. Questo, a parità di tasso di risparmio, toglierà slancio ai consumi. Meglio andrà nel 2024, quando il rientro dell’inflazione è previsto concludersi.