Coprendo un ampio ventaglio di attività professionali, la direttiva sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro stabilisce un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate, in particolare, sull’orientamento sessuale…
Tra il 2010 e il 2017 un lavoratore autonomo ha realizzato montaggi audiovisivi, trailer e servizi di costume e società per le trasmissioni autopromozionali della TP, una società che gestisce un canale televisivo pubblico nazionale in Polonia. Tale collaborazione si fondava su una serie di contratti d’opera consecutivi di breve durata, che detto lavoratore stipulava con la TP nell’ambito della sua attività economica indipendente.
Nel dicembre 2017 tale lavoratore indipendente e il suo partner hanno pubblicato su YouTube un video musicale natalizio avente come scopo la promozione della tolleranza verso le coppie di persone dello stesso sesso. Poco dopo la pubblicazione del video in parola, i turni di tale lavoratore sono stati unilateralmente cancellati dalla TP e, successivamente, non è stato stipulato con lui alcun nuovo contratto d’opera.
Ritenendo di essere stato vittima di una discriminazione diretta fondata sul suo orientamento sessuale, tale lavoratore ha proposto un ricorso per risarcimento danni dinanzi al Tribunale circondariale della città di Varsavia (Polonia). Da un lato, tale giudice si chiede se la situazione di cui al procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro 1. Dall’altro, chiede se tale direttiva osti a una normativa nazionale che, in virtù della libera scelta della parte contraente, escluda dalla tutela contro le discriminazioni prevista da tale direttiva il rifiuto, fondato sull’orientamento sessuale di una persona, di concludere o rinnovare un contratto con un lavoratore autonomo.
Con la sua sentenza 2 in data odierna la Corte dichiara che la nozione di «condizioni di accesso all’occupazione e al lavoro, sia dipendente che autonomo», la quale circoscrive le attività professionali rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, deve essere intesa in senso ampio, come relativa all’accesso a qualsiasi attività professionale, a prescindere dalla sua natura e dalle sue caratteristiche. Tale interpretazione risulta non solo dal tenore letterale della direttiva 2000/78, ma è altresì confermata dagli obiettivi di quest’ultima. A tal riguardo, la Corte evidenzia che la direttiva 2000/78 è volta a eliminare, per ragioni di interesse sociale e pubblico, tutti gli ostacoli fondati su motivi discriminatori all’accesso ai mezzi di sostentamento e alla capacità di contribuire alla società attraverso il lavoro, a prescindere dalla forma giuridica in virtù della quale esso è fornito.
Nondimeno, dal momento che attività consistenti nella mera fornitura di beni o servizi a uno o più destinatari non rientrano nell’ambito di applicazione di tale direttiva, la Corte precisa che occorre che le attività professionali rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78 siano reali ed esercitate nel contesto di un rapporto giuridico caratterizzato da una certa stabilità. Spetta al giudice del rinvio valutare se l’attività in questione soddisfi tale criterio.
Parimenti, per quanto riguarda la nozione di «occupazione e (…) condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione», ai sensi della direttiva 2000/78, la Corte constata che anche quest’ultima deve essere interpretata in senso ampio, includendo le condizioni applicabili a qualsiasi forma di lavoro dipendente e autonomo, a prescindere dalla forma giuridica in cui tale lavoro viene svolto. Inoltre, per quanto riguarda la nozione di «licenziamento», la Corte ammette che anche una persona che ha esercitato un’attività autonoma può trovarsi costretta a cessare tale attività a causa della sua controparte contrattuale e, pertanto, trovarsi in una situazione di vulnerabilità paragonabile a quella di un lavoratore subordinato licenziato. La Corte conclude che, fatta salva la valutazione del giudice del rinvio, la decisione di non rinnovare il contratto a causa dell’orientamento sessuale del contraente rientra nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78.
Nell’ipotesi in cui il giudice del rinvio concludesse per l’esistenza di una discriminazione, la Corte ritiene che essa non possa essere giustificata da uno dei motivi di cui all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78, che istituisce una deroga al principio del divieto di discriminazioni. A questo proposito la Corte osserva che, benché la normativa polacca sembri tutelare i diritti e le libertà altrui, e più precisamente la libertà contrattuale, essa non è necessaria per garantire tale libertà.
Secondo la Corte, la circostanza che il legislatore polacco abbia previsto un certo numero di eccezioni alla libertà di scegliere un contraente dimostra che ha ritenuto esso stesso che il fatto di operare una discriminazione non potesse essere considerato necessario per garantire la libertà contrattuale in una società democratica. Infine, la Corte ricorda che ammettere che la libertà contrattuale consenta di rifiutare di contrarre con una persona in base all’orientamento sessuale priverebbe la direttiva 2000/78, nonché il divieto di ogni discriminazione fondata su un siffatto motivo, del loro effetto utile.