
Rossore, eritema dell’occhio, rigonfiamento e retrazione palpebrale, occhio sporgente (proptosi), bruciore oculare, sensazione di corpo estraneo, diplopia (visione doppia), talvolta difficoltà e dolore nei movimenti oculari, soprattutto guardando in alto: sono i sintomi della malattia oculare tiroidea (Thyroid eye disease – TED).
Parliamo di una patologia complessa, di origine autoimmunitaria, che colpisce in modo prevalente le donne e può manifestarsi in concomitanza o indipendentemente da disfunzioni tiroidee. La TED attacca i tessuti dell’orbita all’interno dell’occhio, portando a segni clinici e sintomi eterogenei che si combinano in diversi gradi di severità e che, nei casi estremi, esitano in una grave compromissione del nervo ottico e della funzione visiva, fino alla rottura della cornea e persino alla perdita della vista. Per accendere i fari su questa patologia poco conosciuta sono cruciali la ricerca, l’innovazione scientifica e l’ottimale organizzazione dei centri di cura territoriali per la diagnosi precoce e la presa in carico del paziente. Sono questi i temi affrontati oggi a Palazzo Ferrajoli, a Roma in una tavola rotonda organizzata da Motore Sanità con il contributo incondizionato di Amgen, leader globale nelle biotecnologie farmaceutiche, che ha visto la partecipazione di specialisti di varie branche, clinici esponenti di Società scientifiche, rappresentanti delle istituzioni e delle associazioni di pazienti che hanno acceso i riflettori e approfondito le implicazioni cliniche e organizzative nella diagnosi e nella cura della Malattia oculare tiroidea.
Si tratta della prima tappa di una serie di approfondimenti in programma nei prossimi mesi in varie regioni italiane che mira a mettere in luce i bisogni dei pazienti e a programmare risposte efficaci ai nodi irrisolti che emergono dai territori. Molti i punti affrontati in questo primo appuntamento: dall’impatto della patologia nella quotidianità dei pazienti alla necessità di un nuovo modello organizzativo multidisciplinare, dalla scarsità di dati epidemiologici e di registri di patologia all’urgenza di diffondere conoscenze cliniche specialistiche tra gli operatori sanitari, così come è emersa con forza la necessità di struttura centri di riferimento nazionali e regionali integrati capaci di scambiare campioni clinici e favorire la ricerca senza trascurare la formazione di figure specialistiche.
“La TED – ha spiegato Claudio Zanon, Direttore scientifico di Motore Sanità – rappresenta oggi una sfida sanitaria, organizzativa e della ricerca che impone un cambio di paradigma che concepisca l’innovazione come un investimento e non un costo mettendo al centro le necessità specifiche dei pazienti”. Centrale l’esigenza di costruire reti assistenziali multidisciplinari efficaci, in grado di superare l’attuale frammentazione delle risposte e le competenze tra endocrinologia e oculistica, garantire la diagnosi tempestiva di questa complessa patologia e una presa in carico appropriata dei pazienti.
L’epidemiologia della TED, data la eterogenità dei segni e dei sintomi e la difficoltà diagnostica, non è ancora del tutto chiara. “I dati disponibili – ha spiegato Alessandro Antonelli, Direttore S.O.D. Medicina Interna ad indirizzo Immuno-Endocrino, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana – parlano di una prevalenza della patologia stimata in 8,97 casi per 10 mila abitanti portando ad una stima di circa 53.000 pazienti in Italia. I pazienti con un grado moderato-severo sono circa il 33% secondo i dati di letteratura, mentre il 2% ha un grado talmente severo da essere a rischio di perdita della vista peruna neuropatia da compressione (Perros et al 2017) che deve essere trattata precocemente. Può inoltre colpire anche pazienti con ipotoiroidismo ed eutiroidismo. Il tabagismo aumenta di 8 volte l’incidenza che è dello 0,48% per 10 mila abitanti, circa 1 ogni 20 mila ogni anno”.
“Una patologia – ha aggiunto il professore Antonelli – gravata da costi diretti e indiretti per perdita di lavoro e disabilità in quanto i casi moderati severi necessitano dell’intervento dei radioterapisti, e di chirurghi dell’occhio che insieme ad altri intervengono sulla ptosi palpebrale o sui muscoli oculari senza contare altre complicanze e malattie correlate come, nel 20% il lupus e il diabete. Mediamente – ha poi concluso – la diagnosi è ritardata di 16 mesi nel 58% dei casi mentre nel 60% non viene fatto nessun trattamento prima della diagnosi”.
Stefano Amodeo, Dirigente medico di I livello UOC Oftalmologia e Chirurgo oculista per oculoplastica e strabologia, Azienda Ospedaliera Sant’Andrea di Roma, ha sottolineato che “tanto più precoce è la diagnosi tanto più il trattamento terapeutico risulta essere efficace. Inoltre una collaborazione stretta tra un endocrinologo e un oculista esperto della patologia possono fare sì che si ottengano degli ottimi risultati come trattamenti medici e come trattamenti chirurgici per ristabilire le normali condizioni sia fisiognomiche che gli aspetti funzionali a livello oculare. Il mio auspicio – ha poi concluso – è che più oculisti si interessino di questa patologia per portare sempre più conoscenza in questo ambito”.
Tutti presupposti che spingono verso una riorganizzazione dell’offerta di cura come ha sottolineato Salvatore Monti, della Commissione scientifica e tiroide AME (Associazione medici endocrinologi) che ha sottolineato l’esigenza di strutturare almeno 1 o 2 hub di riferimento nazionale da collegare con altrettanti centri spoke regionali capaci di rendere capillare la possibilità di prendere in carico i pazienti anche anziani e fragili con competenze da formare in campo orbitologico. “Per strutturare Pdta servono spazi, risorse e tempi con figure professionali adatte alla formazione ad esempio del chirurgo dell’orbita” ha detto.
Una visione sposata in pieno dall’onorevole Gian Antonio Girelli, membro della XII commissione Affari sociali della Camera dei Deputati e dal senatore Ignazio Zullo, intervenuti al convegno per la parte istituzionale e che, insieme alla senatrice Tilde Minasi e Giovanni Satta, presidente dell’Intergruppo parlamentare per la prevenzione e la cura delle malattie oftalmologiche, ed Elisa Pirro, membro X Commissione oermanente, Affari Sociali, Sanità, Lavoro Pubblico e Privato, Previdenza Sociale, Senato della Repubblica, hanno sottolineato l’interesse a tradurre l’innovazione terapeutica che arriva per tante patologie un tempo orfane di cure nella necessaria integrazione della risposta assistenziale attraverso omogenee reti di cura, la definizione di un network di centri di riferimento nazionali e regionali, l’accesso equo e sostenibile e nei tempi giusti a diagnosi e terapie personalizzate ed efficaci.
L’innovazione da sola non basta – è stato detto – ma va trattata e organizzata in un alveo di multipsofessionalità e in percorsi di diagnosi e cura che coinvolgano più figure specialistiche partendo da un vero censimento che valorizzare il collegamento tra le reti, con risposte immediate e integrate agendo sulla leva della ricerca, sulla prevenzione e la diagnosi precoce. In questo ultimo quinquennio la ricerca in ambito sanitario ha avuto una straordinaria accelerazione in termini di innovazione. Le nuove tecnologie applicate alla diagnosi e alla terapia, una più rapida condivisione dei dati, e la scoperta di nuovi meccanismi fisiopatologici hanno consentito di identificare e far luce su patologie poco conosciute come la Malattia Oculare Tiroidea.
Nella tavola rotonda a cui hanno partecipato Michele Allamprese, direttore esecutivo APMO, Teresio Avitabile, Presidente SISI (Società italiana di Scienze oftalmologiche), Lelio Baldeschi, Head of the Ocular Adnexal Service and President PhD Council “Orbita, Oculoplastic lacrimal diseases and Surgery” Academic Hospital Saint Luc, Rossella Elisei, Presidente AIT (Associazione Italiana Tiroide) e Salvatore Monti, Commissione scientifica e Tiroide di AME, (Associazione medici endocrinologi) insieme a Caterina Mian, ordinario di Endocrinologia del Dipartimento di Medicina, direttore della Scuola di specializzazione in Endocrinologia e Malattie del metabolismo Università di Padova, Mario Salvi, Referente Centro di Riferimento per la diagnosi e la cura della orbitopatia basedowiana, Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano e Responsabile Linee Guida, Emma Balducci Gazzotti, Past Presidente AIBAT (Associazione Italiana Basedowiani e Tiroidei) si è evidenziata la necessità anche per queste patologie poco conosciute di strutturare il sistema organizzativo di centri di cura assumendo una conformazione modellata sulle buone pratiche consolidate in altri ambiti di assistenza di malattie croniche come per le malattie oncologiche, il diabete e le malattie rare e capaci di dare risposte personalizzate ed efficaci a malati che per anni non hanno avuto risposte efficaci.
Il convegno ha messo dunque in evidenza alcuni scogli da superare che oggi ostacolano una gestione ottimale della malattia oculare tiroidea: dalla scarsa conoscenza della malattia, che si traduce in una difficoltà diagnostica soprattutto nelle sue fasi iniziali, alla mancanza di registri di patologia che incide sulle reali stime epidemiologiche. Altro punto saliente è l’approccio multiprofessionale che caratterizza la TED, con la necessità di integrare competenze specialistiche diverse – principalmente endocrinologiche e oculistiche – all’interno di reti assistenziali strutturate e coordinate. Da qui l’urgenza di censire e riorganizzare i centri di riferimento e di alta specializzazione e di collegarli in modo efficiente con il territorio. Un modello virtuoso di riferimento già esistente, è a questo proposito senza dubbio rappresentato dal network EUGOGO (European Group On Graves Orbitopathy) a cui i centri di riferimento presenti lungo lo Stivale potrebbero ispirarsi.