Lo sciopero unitario dei Medici, Veterinari e Dirigenti sanitari del 23 novembre ha registrato una partecipazione senza precedenti, una ribalta mediatica eccezionale, un correre di Ministri e Regioni al capezzale della sanità pubblica. Con promesse e impegni che, però, stentano a tradursi in fatti.
The day after è, infatti, una pagina vuota, ancora da scrivere, e le richieste delle Organizzazioni sindacali della dirigenza medica e sanitaria appaiono perse nei meandri della burocrazia, degli incontri a due o a tre, nelle furbizie e negli opportunismi di vario genere e di varie parti. Di modo che latitano ancora le condizioni necessarie per il rinnovo, dopo 10 anni, del contratto di lavoro, irrinunciabile strumento di governo, anche della spesa, e di innovazione dei modelli organizzativi, delle forme retributive, dei contenuti e delle tipologie di lavoro, capace di frenare la fuga dei medici e dei dirigenti sanitari dagli ospedali e di rendere questo lavoro di nuovo attrattivo per i giovani.
La discussione della Legge di Bilancio, e dei provvedimenti collegati, procede senza che si intravveda il mantenimento degli impegni assunti con i medici, ed i cittadini, fin dal contratto di governo,un testo sacro per tutto ma non per il capitolo salute. Il maxiemendamento che include l’indennità di esclusività nella massa salariale dal 1/1/2019, rischia di tradursi in beffa se, dopo avere dimenticato il rinnovo contrattuale in corso, la sua decorrenza non viene chiaramente ancorata al triennio contrattuale 2019-2021, essendo alto il rischio di un effetto ritardato alla tornata contrattuale 2022/2024. E continua a ignorare il recupero della dinamica contrattuale che coinvolge la RIA, forse la principale motivazione dello sciopero. In compenso, prova a destrutturare lo stato giuridico dei professionisti del SSN, aprendo ai contratti privati con medici senza specializzazione e pensionati.
Un inaccettabile processo di precarizzazione di ritorno, dopo aver giurato e spergiurato sulla sua scomparsa con il decreto “Dignità”, l’assunzione da parte di Regioni ed aziende di un ruolo di nuovo caporalato, che chiama al lavoro chi vuole ed al costo che vuole, alla faccia della retorica dell’appartenenza.
Ssenza le auspicabili modifiche, saremmo di fronte ad un rimedio peggiore del male, una presa in giro, un danno presente e futuro, una frattura profonda tra le istituzioni ed i professionisti del SSN.
Il declino della sanità pubblica, sottoposta a continui e pesanti tagli che già peggiorano gli indicatori di salute, rischia di essere senza ritorno, se l’agenda politica del Governo non restituisce valore al suo capitale umano, oggi lasciato esposto alla delegittimazione sociale, alle aggressioni, a rischi legali sempre meno sostenibili a fronte di retribuzioni bloccate al 2010, alla incertezza del futuro per i giovani, al maltrattamento contrattuale e, ciliegina sulla torta, alla criminalizzazione e militarizzazione dell’attività libero professionale intramoenia.
La quale, giova ricordare, è l’istituto più regolamentato di tutta la pubblica amministrazione, attraverso tre leggi (“Bindi”, “Turco”, “Balduzzi”), tre contratti di lavoro nazionali, ventuno regolamenti regionali e centinaia aziendali. Per affossare una attività che rappresenta un diritto dei medici e dirigenti sanitari e degli stessi cittadini, donne in particolare, cui garantisce la libera scelta di un professionista, si mettono in campo carabinieri e guardia di finanza,come per le operazioni anti mafia, per criminalizzarla e poterla trasferire alla sanità privata, con l’intermediazione di fondi, mutue e assicurazioni, non avendo il coraggio di affrontare le vere cause delle liste d’attesa.
Continuare il gioco del cerino tra le istituzioni, vuol dire che le Regioni, con la complicità del Governo, non hanno alcuna intenzione di rinnovare il CCNL della dirigenza sanitaria, se non a condizioni che legittimino il saccheggio dei fondi contrattuali, e di onorare gli obblighi datoriali, se non nella logica dei padroni delle ferriere, giocando sulla pelle dei cittadini e dei medici, visto che i disagi non li sopportano certo gli assessori. Da parte nostra, rifiutiamo ogni ipotesi di scambio al massimo ribasso, figlia di una esegesi creativa di leggi e contratti, piegata alla volontà di coniugare il poco aggiunto a livello nazionale con il molto sottratto a livello aziendale, una mancia con un bottino.
Il Ministro della salute, che il 23 novembre ha dichiarato di essere “con i lavoratori della Sanità, in ogni caso”, rischia una sconfitta politica se viene meno all’impegno, assunto a nome del Governo, ad ascoltare i medici per rimediare ai guasti che nel passato hanno esasperato le situazioni di disagio reale del Servizio sanitario. Non è solo un problema economico. Per dirlo con parole del Ministro “….. nell’anno che celebra il quarantennale del nostro SSN, dobbiamo ripartire da chi questo sistema lo ha fatto diventare grande: i professionisti che lavorano in corsia, negli ambulatori periferici, nei laboratori, nelle guardie dimenticate da tutti, nei pronto soccorsi affollati”.
Questa è una promessa da non tradire. Se si vogliono evitare nuovi scioperi più incisivi nelle prossime settimane.
ANAAO ASSOMED – AAROI-EMAC – CIMO – FP CGIL MEDICI E DIRIGENTI SSN – FVM Federazione Veterinari e Medici – FASSID (AIPAC-AUPI-SIMET-SINAFO-SNR) – CISL MEDICI – FESMED – ANPO-ASCOTI-FIALS MEDICI –
UIL FPL COORDINAMENTO NAZIONALE DELLE AREE CONTRATTUALI MEDICA, VETERINARIA SANITARIA