Non chiamatele guerriere. Ma cercate di capire davvero cosa ‘provano’ nel profondo. E, ad esempio, quanto siano curativi silenzio e compagnia. Dunque, che cosa ‘sentono’ e cosa vorrebbero le 37.000 donne che in Italia convivono con un tumore al seno avanzato; quali parole e quali gesti sono di aiuto, quali invece controproducenti. In occasione della giornata Nazionale del Tumore al Seno Metastatico, che si celebra giovedì 13 ottobre, nasce ‘Note di Vita’, la prima guida che vuole aiutare a capire in profondità stati d’animo, pensieri e emozioni delle donne che convivono con questa diagnosi.
È uno strumento che nasce dalla campagna ‘È Tempo di Vita’, promossa da Novartis Italia in collaborazione con Salute Donna Onlus. “Note di Vita” è un’antologia ispirata da pensieri ed esperienze delle pazienti di Salute Donna Onlus. Si indagano gli aspetti trascurati nell’interiorità di una donna con tumore al seno avanzato, che deve intraprendere un percorso complesso non solo dal punto di vista terapeutico, ma anche psicologico ed emotivo che investe tanti aspetti della quotidianità.
‘La malattia cambia la vita ma allo stesso tempo dà la forza per farlo’, afferma Chiara Gnocchi, Head of Country Communications and Patient Engagement di Novartis Italia: ‘Questo l’ho imparato dalle pazienti, e da tutte quelle persone che affrontano la malattia di cancro’. Un motto che Gnocchi ha cercato di ‘fare suo’ e di trasmettere a Novartis. Anche perché va considerato che l’età media per la diagnosi di un tumore metastatico arriva a 54 anni, e il 40% delle donne con un tumore al seno metastatico è under 40 anni, quindi ‘sono donne attive, con una vita lavorativa, una vita familiare, una vita sociale, una vita di relazione a cui non accettano di rinunciare’. Una vita piena ed energica, nel pieno del proprio corso.
Sono donne ‘sposate e la maggior parte ha un figlio non ancora maggiorenne, sono persone in cui c’è la sessualità che vogliono mantenere con il proprio compagno, il desiderio di fare figli, l’alimentazione, il fitness… Insomma- osserva Gnocchi- donne che vogliono continuare ad avere questa vita’. Così, nei 10 punti della guida, si trova tutta quella forza inaspettata che arriva dalla malattia e rimescola le priorità, così come quelle fragilità interiori che le pazienti faticano a condividere, ma che è bene tirare fuori per permettere agli altri di essere di aiuto. Si scopre poi come dia fastidio l’etichetta di “guerriera”, perché non si tratta né di vincere né disconfiggere il tumore, ma di un percorso in cui ognuna deve trovare il proprio equilibrio. C’è inoltre il valore sottovalutato del silenzio e quello “terapeutico” del tempo, che le pazienti considerano un po’ come una cura, perché alimenta la speranza. ‘Una malattia non la si combatte, ma la si cura’, sottolinea la presidente di Donna Salute Donna, Anna Mancuso.
‘Le guerriere danno questa idea che non cedono mai, ma quando una donna ha questa patologia sta soffrendo e sta attraversando un periodo molto doloroso: piange quando ha momenti di tristezza, ride quando ha momenti di felicità… Pertanto, non sta certo combattendo una guerra, sta semplicemente soffrendo, e fa un percorso di dolore che condivide con altre donne- aggiunge Mancuso- ed è proprio la condivisione diventa fondamentale’. Nessun ‘breviario’ per insegnare a vivere alle pazienti ‘anche perché sono loro ad insegnare a noi’, ma una guida speciale per tutti, dedicata forse maggiormente a chi il tumore non lo ha e fatica a capire questa condizione, partendo dall’esperienza di chi vive la malattia per aiutare chi incrocia il cammino di una donna con il tumore al seno in stadio avanzato a capire come si sente, quali parole e quali gesti aiutano, quali invece no.
Così si scopre, a esempio, che mentre è ipervalutato il concetto distorto della paziente-guerriera, al contrario è sottostimato il valore del silenzio e la compagnia di chi ha il dono di stimolare le pazienti a vivere a pieno ogni momento rispettando sempre i loro tempi e volontà. A guidare questo viaggio è Stefania Andreoli, psicoterapeuta e consulente scientifica del progetto, che attraverso le diverse fasi della malattia, dal cambiamento all’accettazione, arriva ad approfondire temi come l’intimità e l’importanza della figura del caregiver.
Gli argomenti trattati nella Life Academy sono frutto di un attento ascolto della community di ‘È Tempo di Vita‘, che oggi conta oltre 56.000 utenti tra Facebook e Instagram. Le pazienti cercano attivamente spazi online dove aprirsi e condividere emozioni, rassicurarsi ed essere rassicurate. Da qui l’impegno della campagna a creare contenuti capaci di toccare gli aspetti più trascurati della malattia, come ad esempio la sfera interiore e più intima delle pazienti, che rappresenta proprio il fil rouge delle conversazioni della Life Academy. “Un percorso che invita coloro che convivono con una diagnosi di tumore al seno in stadio avanzato- racconta Andreoli- ad avere il coraggio di mettere a confronto la propria interiorità con l’esteriorità, ponendosi una semplice domanda: come sono, come mi sento? Un viaggio per guidarle alla scoperta di se stesse attraverso conversazioni contraddistinte da un clima caldo e informale’. Insomma, nel salotto della Life Academy il parere oncologico incontra la scrittura e la mindfulness, ma lascia anche il posto a temi come l’intimità e il supporto.
‘Con la Life Academy- aggiunge Andreoli- abbiamo sottolineato il senso profondo di questa campagna: ricordare alle donne che è sempre tempo di vita, donando loro uno spazio dove comprendere che non sono sole in questo percorso. Le loro paure, le loro riflessioni sono condivise da molte altre donne’.
Oggi in Italia si contano oltre 830.000 donne con un tumore al seno, con 55.000 nuovi casi ogni anno, mentre si stimano siano circa 37.000 le italiane che convivono con una diagnosi di carcinoma mammario metastatico 1. Gli studi più recenti confermano gli importanti passi avanti resi possibili dalla ricerca scientifica e dimostrano come stia così cambiando la storia del tumore al seno avanzato. “Oggi una donna con una diagnosi di tumore al seno avanzato si trova di fronte a prospettive radicalmente diverse rispetto a solo qualche anno fa, perché sono aumentate le aspettative di vita ed è parallelamente migliorata anche la qualità di vita nella quotidianità’, afferma direttore del dipartimento di Oncologia Senologica e Toraco-Polmonare, dell’Istituto nazionale tumori Ircss Fondazione ‘G.Pascale’ di Napoli, Michelino De Laurentiis. Adesso, infatti, spiega, ‘possiamo avvalerci di molecole appartenenti alla categoria degli inibitori delle cicline che sono in grado di raddoppiare la sopravvivenza rispetto alle precedenti terapie e stiamo così andando verso un traguardo importante, che chiamiamo cronicizzazione dello stadio avanzato’. Insomma, ‘la buona notizia è che con le nuove armi terapeutiche si riesce ‘a cronicizzare la malattia in un arco temporale superiore ai cinque anni, e siamo già in grado di andare fino a 10-15 anni. Insomma, non c’è limite su quello che possiamo fare in questo lasso di tempo’.
De Laurentiis evidenzia come, nel giro degli ultimi cinque anni, è cambiato tutto radicalmente nell’approccio a questa patologia, e auspica un cambiamento ancor più ‘copernicano’, di tipo olistico, più che farmacologico, con un dialogo costruttivo, aperto e improntato all’ascolto, tra medico e paziente: ‘Ogni paziente è diversa da un’altra e non esiste un approccio standard alla persona, esistono terapie standard, ma il medico deve imparare a prendersi cura della persona malata di cancro e non mirare a curare il cancro come entità astratta’, aggiunge. Purtroppo, ‘questo è un errore in cui si cade ancora troppo spesso’, ecco perché De Laurentiis si appella ai colleghi oncologi affinché cambino paradigma. L’auspicio è che e ‘cambiare approccio, anche perché anche se apparentemente più dispendioso, questo è un approccio che dà soddisfazioni straordinarie’.
Intanto, sembra alle porte un periodo in cui più case farmaceutiche possano ‘unirsi’ per perseguire risultati impensabili fino a qualche anno fa: ‘Stiamo aspettando con ansia studi clinici nella fase adiuvante, e questo perché potremmo aiutare ancora più donne e raggiungere ambizioni più alte di guarigione’, sottolinea Gnocchi. ‘A questo però vorremmo aggiungere delle partenrship pubblico-private con Istituzioni, la classe scientifica o le associazioni pazienti per fare la differenza per una patologia che è la prima causa di morte del mondo, e abbiamo il dovere di fare qualcosa. Purtroppo da soli non siamo sufficienti, per questo vorremmo sfatare lo stigma delle aziende farmaceutiche: siamo in grado di collaborare e diventare partner per un obiettivo comune’. E di fronte a una patologia ritenuta pressoché invincibile, ‘Novartis non si fermerà finché non troviamo la cura, questo è il nostro impegno quotidiano, e non siamo ancora arrivati dove vogliamo arrivare’, conclude Gnocchi.