Come ogni anno, in occasione del 17 maggio, giornata mondiale contro l’omo-lesbo-bi-transfobia, Arcigay, attraverso il suo ufficio stampa, diffonde il report degli episodi di omotransfobia raccontati negli ultimi 12 mesi dai mass media.
Il report, per la sua stessa natura, ha un valore qualitatitivo e non quantitativo, cioè scatta una fotografia dei modi e delle forme attraverso cui il fenomeno si manifesta nella vita delle persone lgbti. Son 119 in tutto i casi censiti, meno di quelli dell’anno passato, in cui la radicalizzazione del dibattito sulle unioni civili aveva acceso un’inedita visibilità mediatica su questi fenomeni. Ma se l’attenzione dei mass media si è comprensibilmente abbassata, l’omotransfobia ha ancora connotati molto allarmanti.
“Osservando le storie che compongono il nostro rapporto – commenta Gabriele Piazzoni, segretario nazionale di Arcigay – sono diversi gli elementi che meritano di essere sottolineati: innanzitutto tra le 119 storie ci sono ben 4 omicidi, tre di ragazzi molto giovani, tutti riconducibili a un movente omotransfobico. Questi tre fatti cruenti sono l’apice di un bollettino quotidiano che descrive un’oppressione martellante. E qui viene il secondo aspetto che emerge con chiarezza dal rapporto che consegniamo all’opinione pubblica: mentre l’attenzione negli ultimi anni si è spostata sul fenomeno degli haters sul web, sicuramente preoccupante, l’omotransfobia è ancora oggi, e forse sempre di più, un fenomeno che impatta concretamente nella vita reale delle persone, nelle loro relazioni familiari e di vicinato, nei luoghi che frequentano o dai quali vengono allontanate o precluse. Colpisce allora leggere questa agghiacciante successione di figli e figlie allontanati da casa, di singoli e coppie insultati e picchiati per strada, di manifesti, striscioni, cartelli, scritte sui muri che con grande violenza segnano i luoghi che attraversiamo. Pizzerie, discoteche, lidi balneari, ambulatori medici, scuole diventano campi minati in cui si prende forma una modalità di oppressione martellante, che spesso arriva alla violenza fisica. Un report come questo va letto con le lenti dell’intelligenza empatica, cioè con la disponibilità a farsi un giro nelle scarpe degli altri: che esperienza è attraversare luoghi e relazioni n cui viene reiterato un messaggio di disprezzo e di marginalizzazione? Cosa resta alle persone che si sentono destinatarie di questi messaggi? La tanto richiesta e mai ottenuta legge contro l’omotransfobia è pensata per riconoscere un’aggravante ai violenti che colpiscono con questo movente. Ma il fenomeno è molto più complesso, è sociale e culturale assieme, e richiede una presa di responsabilità collettiva. Perché solo così si può produrre – negli anni, e ne serviranno tanti – un reale cambiamento. Chi non vive sulla propria pelle questi fenomeni tende a disinteressarsene, e questo disinteresse è parte del problema. Non stiamo parlando di privilegi da riconoscere a una “lobby”, non siamo imprenditori a caccia della nostra flat-tax. Qui si parla delle condizioni minime di serenità e benessere che rendono possibile a una persona un legittimo desiderio di felicità. Ancora due considerazioni: la prima riguarda i suicidi, che sono un tema delicatissimo che non può essere censito attraverso questi monitoraggi se non compiendo forzature che non fanno parte del nostro modo di affrontare il problema. Ma i suicidi ci sono e in tutto il mondo circolano ricerche scientifiche che ne sottolineano l’allarmante frequenza all’interno della comunità lgbti. Ognuno di quegli eventi è il fallimento di una società. Infine, è doveroso tornare al tema delle famiglie, quelle che cacciano i figli e le figlie da casa, quelle che li picchiano, che tentano di sfregiarli con l’acido, che vogliono in tutti i modi punirli. Queste vicende sono pura follia e tutti e tutte dovremmo indignarci, reagire, denunciare. Invece, l’inferno che in quelle famiglie si scatena è direttamente collegato a una propaganda politica omotransfobia che sembra puntare direttamente a questi esiti. Sappiano allora questi predicatori che stanno giocando con la vita delle persone, che in nome dei loro capricci ideologici stanno compremettendo il futuro di tanti giovani. Come ogni anno il 17 maggio si spenderanno tante parole sull’omotransfobia. Che sono utili, ma che si dimostrano assolutamente inefficaci. Servono i fatti ma perché arrivino i fatti serve innanzitutto la consapevolezza: questo bollettino di storie merita di essere attraversato, di essere vissuto sulla propria pelle. Questo è l’auspicio con cui lo rendiamo pubblico, ribadendo con la stessa ostinazione di sempre la richiesta di strumenti, in primo luogo legislativi, per affrontare questo fenomeno una volta per tutte”, conclude Piazzoni.