Sono passati 5 anni dalla Missione 65 di Open Arms. La Missione svoltasi nell’agosto del 2019 che vide 163 persone tratte in salvo, in 3 diverse operazioni di soccorso, costrette ad attendere di poter sbarcare in un porto sicuro senza apparente motivo per 20 interminabili giorni.
Avvenimento per il quale è ancora in corso un processo che vede imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio Matteo Salvini (la prossima udienza si terrà a Palermo il 14 settembre e la sentenza arriverà entro la fine dell’anno), l’attuale Vicepremier che all’epoca dei fatti era a capo del Viminale. Sulla Nave Open Arms c’erano uomini, donne e bambini, in condizioni fisiche e psicologiche precarie e bisognosi di cure immediate. Tra questi anche 27 minori che viaggiano da soli (poi vengono fatti sbarcare grazie a un provvedimento del Tribunale per i minori di Palermo). Durante gli ultimi due giorni di questa difficilissima missione, 13 persone, prese dalla disperazione, si gettarono in mare e furono recuperate dai soccorritori di Open Arms in collaborazione con la Guardia Costiera italiana. Lo sbarco fu poi disposto dal Procuratore di Agrigento, Luigi Patronaggio, che contestualmente aprì un’inchiesta, prima contro ignoti, poi contro l’allora Ministro degli Interni Matteo Salvini, per sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio.
“In 5 anni la situazione nel Mediterraneo Centrale non è cambiata, come riportato dall’ONU, questa si conferma la rotta più letale al mondo.” – ha detto Oscar Camps, fondatore della ONG Open Arms – “Più di 12.000 persone sono morte nel Mediterraneo centrale negli ultimi 5 anni (Missing Migrants). Secondo le fonti dell’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM), oltre 1.000 migranti sono morti o sono stati dichiarati dispersi in questa zona dall’inizio del 2024 a metà agosto. I numerosi provvedimenti presi dal Governo italiano, unitamente al nuovo patto europeo per i migranti, approvato dal Parlamento Europeo lo scorso aprile, anziché promuovere l’integrazione delle persone, la solidarietà tra Stati e i diritti di chi migra, si focalizzano ancora una volta sul rafforzamento delle frontiere, facendo accordi con Stati come Libia e Tunisia che risultano totalmente inaffidabili e vanno solo ad aggravare le condizioni di partenza: non fermando assolutamente i traffici e portando chi è costretto a partire a ideare soluzioni drastiche e drammatiche” ha concluso Camps.
Tra le normative italiane, si ricordano la legge 77/2019 (convertita dal decreto sicurezza bis del 53/2019) e la più recente stretta data dalla 15/2023. La prima ha introdotto il divieto di “ingresso, transito o sosta in acque territoriali italiane” salvo in caso di autorizzazione da parte dei ministeri dell’Interno, della Difesa e dei Trasporti, con una sanzione al comandante della nave del pagamento di una somma da euro 150.000 a euro 1.000.000.
La seconda, oltre a confermare quanto già previsto, dispone che siano sanzionate le imbarcazioni operanti fuori dal coordinamento delle autorità competenti. In virtù di questo, nel corso dell’ultimo anno, la maggior parte delle navi umanitarie sono state fermate e multate. Oltre a ciò, il Governo italiano ha attuato una politica di assegnazione di porti di sbarco distanti per logorare le organizzazioni umanitarie, causando così inutili sofferenze alle persone soccorse. E così, nell’ultimo anno, sono state indicate le città di Genova, Massa Carrara, Ortona, Ravenna e Civitavecchia, come luoghi in cui far scendere i naufraghi salvati, che si trovano a più di mille miglia dalla zona di salvataggio e a diversi giorni di navigazione.
Secondo i dati del Cruscotto statistico sull’immigrazione, a cura del Ministero dell’Interno, nei primi 8 mesi del 2024 sono arrivate in italia oltre 38.000 persone via mare, la maggior parte di loro soccorsa dalla Guardia Costiera e dalla Guardia di Finanza.
Le statistiche mostrano che, delle persone salvate e portate in Italia negli ultimi 5 anni, in media solo una piccola percentuale inferiore al 10% sono salvate da organizzazioni umanitarie. La maggior parte delle imbarcazioni giunge con mezzi propri o con il soccorso della Guardia Costiera o della Guardia di Finanza. Dati importanti per comprendere e smentire il cosiddetto “effetto chiamata” imputato da alcune forze politiche al lavoro degli operatori umanitari.
Il numero di morti nel Mediterraneo dimostra il fallimento degli accordi tra i Paesi sulle politiche migratorie e la necessità di un’operazione di salvataggio nel Mediterraneo, in questo contesto il compito delle organizzazioni umanitarie è essenziale. Open Arms, impegnata nel suo lavoro, chiede che queste operazioni trovino il consenso e il supporto degli Stati Membri della UE, con un vero e proprio sistema di ricerca e soccorso in grado di far diminuire i numeri qui elencati.