I Finanzieri del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Catania, in collaborazione con il Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata (S.C.I.C.O.) e con il supporto del Gruppo Aeronavale di Messina, hanno dato esecuzione a un’ordinanza di misure cautelari emessa dal G.I.P. del Tribunale di Catania nei confronti di 9 persone (2 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e 4 sottoposti alle misure cumulative dell’obbligo di presentazione alla P.G. e di dimora) indagate, a vario titolo, per associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode nelle pubbliche forniture, corruzione continuata e rivelazione di segreto d’ufficio nonché per concorso esterno in associazione di tipo mafioso.
I fatti delittuosi, perpetrati negli anni 2018 e 2019, sono essenzialmente connessi all’illecita conduzione della discarica di Lentini (SR), la più estesa della Sicilia, gestita dalla “S.T.” nonché alle “pressioni” esercitate da esponenti del clan mafioso dei Nardo (storici alleati di cosa nostra etnea) finalizzate ad ottenere l’affidamento di un chiosco presente all’interno dello stadio della squadra di calcio “S.L.” attualmente militante nel campionato professionistico di prima divisione. Con il medesimo provvedimento, eseguito in data odierna dai Finanzieri del Nucleo P.E.F. di Catania (G.I.C.O.), è stata disposto, per le persone giuridiche ritenute responsabili, a vario titolo, di traffico illecito di rifiuti e di corruzione per atti contrari ai doveri di ufficio – tutti delitti perpetrati dai loro amministratori nell’interesse delle stesse – il sequestro preventivo (ai sensi dell’art.321 c.p.p., comma 1) di tutti i beni aziendali, quote e azioni sociali e la contestuale nomina di amministratori e custodi.
La suddetta misura reale preventiva, afferente a un patrimonio societario complessivamente stimabile in circa 110 milioni di euro, precede la fase di contradditorio prevista dal D.Lgs.n.231/2001 (responsabilità amministrativa delle persone giuridiche) all’esito della quale il G.I.P. etneo determinerà l’eventuale nomina di un commissario giudiziale. Ulteriori misure cautelari reali eseguite dai Finanzieri etnei sono il sequestro preventivo di oltre 6 milioni di euro finalizzato alla confisca del profitto illecito originante:
- dal traffico illecito di rifiuti; sequestro effettuato nei confronti di un amministratore e di un socio, tra le altre, della “S.T. S.p.A.”
- da un rodato circuito corruttivo caratterizzato dalla dazione costante di tangenti in contanti per decine di migliaia di euro; sequestro effettuato a carico di un pubblico ufficiale corrotto in servizio presso l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente (ARPA Sicilia).
Le rapide e approfondite investigazioni condotte dai Finanzieri del Nucleo P.E.F. di Catania (G.I.C.O.) e dallo S.C.I.C.O. sono state sviluppate attraverso l’esecuzione di intercettazioni telefoniche e ambientali, accertamenti bancari, disamina della documentazione amministrativa afferente le autorizzazioni necessarie per la gestione degli impianti della famiglia L. nonché attraverso la messa a sistema degli elementi indiziari desunti dall’esecuzione di una consulenza tecnica disposta da quest’Ufficio in ragione di un accesso presso gli impianti “incriminati” operato dai Finanzieri nel febbraio del 2019.
La consistente mole indiziaria così emergente permetteva di portare alla luce un perdurante e sistematico illecito smaltimento dei rifiuti solidi urbani provenienti da oltre 200 Comuni siciliani convenzionati con la “S.T.”; un enorme quantitativo di rifiuti strutturalmente non più gestibile secondo le prescrizioni di legge che finiva in discarica senza subire alcun trattamento preliminare, un trattamento quest’ultimo essenziale per favorire l’individuazione dei materiali non ammissibili in discarica o dei rifiuti da destinare a operazioni di recupero. In altre parole, una gestione della discarica, dell’impianto T.M.B. e di compostaggio, da parte della famiglia L., orientata all’esclusivo perseguimento di utili attraverso il mantenimento delle convenzioni con i Comuni pur non essendo gli impianti nelle condizioni di poter più adempiere alle prescrizioni fissate dalle stesse autorizzazioni amministrative.
Il sistema illecito orchestrato dal principale indagato si reggeva su due pilastri:
- la puntuale dazione di tangenti a soggetti ritenuti dal corruttore, al di là del ruolo assegnato dall’amministrazione di appartenenza, in grado di influenzare la concessione di autorizzazioni amministrative e di “pilotare”, preventivandoli, i prescritti controlli ambientali
- la fasulla rappresentazione della movimentazione dei rifiuti al fine di garantire un’apparente osservanza delle norme; una contabilità assolutamente non corrispondente alla reale entità e tipologia dei rifiuti conferiti in discarica e trattati nell’impianto di compostaggio.
Gli accertamenti tecnici operati direttamente presso le imprese coinvolte permettevano di rilevare che sia ingenti quantitativi di R.S.U. (non sottoposti ai preventivi trattamenti di frantumazione, triturazione, successiva vagliatura e biostabilizzazione e, tra questi, anche la frazione “umida” che avrebbe dovuto essere destinata al recupero mediante compostaggio) quanto una consistente mole di materiale originata da un incompleto processo di compostaggio, venivano conferiti direttamente nella discarica lentinese, previa attribuzione fittizia di un codice che identifica i rifiuti derivanti da tritatura e vagliatura e, in alcuni casi, anche senza che i rifiuti fossero tracciati da alcun formulario.
Il sodalizio criminale che gestiva la “S.T.” e le altre realtà aziendali collegate in filiera ammettevano in discarica per lo smaltimento finale, categorie di rifiuti che, per la loro stessa natura, non avevano i requisiti di ammissibilità necessari; rifiuti mai sottoposti anche ad un semplice esame visivo: in tal modo, i responsabili potevano accumulare, nel tempo, guadagni illeciti non spettanti anche in frode agli impegni assunti con i Comuni conferenti. Si trattava, dunque, di rifiuti altamente putrescibili e quindi in grado di formare percolati e di produrre biogas creando così concreti presupposti per l’emissione diffuse di maleodoranze oltreché di gas serra. In alcune circostanze, veniva appurato che i percolati, liquidi che dovevano confluire sul fondo delle vasche e da qui stoccati in silos, erano sversati nel suolo e nelle acque circostanti. Tra i rifiuti conferiti “tal quali” in discarica venivano rinvenuti frigoriferi interi (contenenti al loro interno ancora il poliuretano), pneumatici non ammissibili nella discarica lentinese, materassi non previamente lacerati, oggetti di plastica, metallo e carta recuperabili, pasti provenienti da mense ancora integri nonché rifiuti speciali sanitari.
Queste illecite modalità di conferimento di rifiuti in discarica determinavano anche un’evasione del tributo speciale per il deposito in discarica dei rifiuti solidi (art.3, Legge 549/1995) pari, per il 2018, a oltre 6,2 milioni di euro (a cui vanno aggiunti sanzioni e interessi). Il tributo, da versare trimestralmente alla Regione Siciliana dal gestore dell’impianto presso cui si effettua lo stoccaggio definitivo (nella sua qualità di sostituto d’imposta) è finalizzato a favorire la minore produzione di rifiuti e il recupero dagli stessi di materia prima e di energia. La tendenziale assenza di un trattamento preliminare al conferimento in discarica determina l’applicazione di un’aliquota per il tributo dovuto superiore a quella calcolata dai gestori della “S.T.”. L’impianto di compostaggio della “S.C.”, a far data dal maggio 2018, iniziava a ricevere, presso la propria struttura, la “Frazione Umida” proveniente dalla “Raccolta Differenziata” svolta da diversi comuni siciliani, con i quali l’azienda aveva stipulato preventivi contratti di conferimento, in ragione dell’autorizzazione rilasciata dall’Assessorato Regionale dell’Energia e dei Servizi di pubblica Utilità che avrebbe consentito alla “S.C.” di ricevere presso la sua struttura un quantitativo massimo di 70 mila tonnellate annue. Ma l’impianto di compostaggio, a fronte di una potenzialità di lavorazione della “Frazione Umida” calcolata intorno alle 160/170 tonnellate giornaliere, ne riceva 250/270.
Tale realtà nota agli amministratori indagati determinava gli stessi a stabilire che delle 1.400 tonnellate di “rifiuto umido” che arrivavano settimanalmente in impianto, 400 dovevano essere “smaltite illecitamente” ovvero senza sottoporle ad alcun processo di recupero e veicolandole “tal quali” nella discarica di Lentini. Tale diffuso quadro di illegalità poteva perpetuarsi nel tempo in ragione del determinante contributo fornito da funzionari pubblici corrotti. Nello specifico, un dirigente ARPA di Siracusa (sezione controlli e monitoraggi ambientali), si recava mensilmente presso la discarica siracusana per ricevere una mazzetta in contanti di 5.000 euro.
La puntuale riscossione del profitto corruttivo, “il giorno 20 di ogni mese”, veniva documentato dai Finanzieri del G.I.C.O. dall’agosto 2018 al marzo 2019 e in una circostanza, dopo la ricezione dei contanti, anche riscontrata materialmente per effetto di un controllo su strada operato da una pattuglia della Compagnia Pronto Impiego di Catania. Il pubblico ufficiale corrotto risultava aver totalmente asservito la sua pubblica funzione alle finalità utilitaristiche e personali perseguite dall’imprenditore corruttore con il quale intratteneva un rapporto confidenziale in dispregio dell’imparzialità cui deve conformarsi ogni pubblico dipendente.
Da ultimo, la meticolosa attività d’indagine condotta dalle Fiamme Gialle etnee portava alla luce anche una stabile e compiacente relazione finanziaria tra il gruppo imprenditoriale investigato ed alcuni esponenti del clan mafioso N. (tra i quali soggetti già condannati per 416 bis) ai quali l’imprenditore tratto in arresto faceva pervenire, durante le festività, somme in contanti di 5.000 euro tramite un suo collaboratore. Quest’ultimo forniva un rilevante supporto per la realizzazione dei progetti criminosi del clan mafioso dei N., una collaborazione significativa manifestatasi attraverso plurime condotte, tra le quali anche quella di riportare agli affiliati della compagine mafiosa le indicazioni e le volontà di un boss recluso.
L’investigazione della Guardia di Finanza di Catania ha, dunque, fatto luce su un groviglio illecito d’interessi permeante la gestione della maggiore discarica siciliana così confermando come il delicato settore ambientale possa essere facile preda di rovinose pratiche corruttive oltreché di appetiti mafiosi.