Con la proposta di legge dell’on. Davide Crippa, sottosegretario allo Sviluppo Economico, ferve il confronto sulla riforma della legge (governo Monti) che ha liberalizzato gli orari degli esercizi commerciali. Dibattito fervente perché serve a far emergere tutti gli aspetti di una questione che, se per qualcuno può sembrare marginale, investe invece diversi aspetti della nostra società: economici e culturali.
Sugli aspetti economici siamo già intervenuti ricordando l’incongruenza di una simile riforma rispetto al procedere dell’economia nazionale, europea e transnazionale, sottolineando che si tratterebbe di un dannoso passo indietro per tutti: consumatori, imprenditori, Stato.
Oggi, con una nota la Cgil (Filcams) ha detto la sua per diversi aspetti, a cui, economicamente, non abbiamo molto da aggiungere rispetto alla nostra nota già diffusa nei giorni scorsi.
Un aspetto, però, ha stimolato la nostra attenzione di persone e associazione che basa la propria politica sulla libertà dell’individuo. Riportiamo la specifica frase del sindacato, che rivendica, nello specifico, la necessità di una normativa nazionale uniforme, di base, che non deroghi rispetto alle decisioni locali e regionali:
“Si deve escludere la possibilità di aprire in occasione delle festività nazionali, restituendo a questi giorni il valore civile e religioso che è patrimonio della nostra storia e della nostra cultura”.
Ci poniamo la domanda: qual è il “patrimonio della nostra storia e della nostra cultura”, evocato da questo sindacato? Immaginiamo sia quello legato alla religione giudaico-cristiana (più specificamente cattolica romana), da cui nei secoli si è emanata una civiltà, una socialità ed un’economia forgiata ad hoc, con – nella fattispecie – la chiusura domenicale degli esercizi commerciale perché questo giorno è considerato il giorno del riposo per eccellenza e, proprio per questo, la Chiesa romana ha istituzionalizzato le sue funzioni religiose più importanti proprio in questo giorno.
Tutto bene?
Mah!
A.D. 2018, Italia, Europa, Pianeta Terra. Lasciamo perdere la questione che se in tanti non lavorassero la domenica, anche in Italia, tutto si fermerebbe e correremmo seri pericoli di sicurezza in tutti i sensi, ché questo è il principale aspetto di ipocrisia economica dei sostenitori del “tutto chiuso”. Fermiamoci a quanto abbiamo evidenziato.
Cosa succede in questo angolo del Pianeta, anche grazie al sostegno del sindacato Cgil per le politiche di accoglienza migratoria, dello straniero, del forestiero, del diverso (e chi più sinonimi abbia, più ne metta)?
Che la nostra società ha tutte le caratteristiche della multietnicità. Possiamo discutere a non finire su come e cosa dovrebbe essere il meccanismo di integrazione nel nostro sistema, ma su una cosa non si può non concordare: integrare non significa assimilare, distruggere l’altro (qualunque provenienza esso abbia) nella sua individualità.
E quindi, come la mettiamo con il montante numero di individui musulmani che sono presenti nella nostra società, e che sono consumatori a tutti gli effetti ?
Loro si riposano il venerdì, mentre si vorrebbe che le nostre leggi li obbligassero a farlo di domenica (e le altre feste comandate tutte riferite al calendario gregoriano). C’è qualcosa che non torna sotto diversi aspetti: l’accoglienza dei migranti, la libertà degli individui e – come conseguenza – le libertà economiche.
Per evitare questo, la legge oggi in vigore sulla libertà degli orari degli esercizi commerciali ha in qualche modo sopperito a queste incongruenze, pericolose e dannose per tutti, sotto diversi aspetti sia economici che civici. Qualcuno vuole che queste incongruenze diventino fatti di legge?
Vogliamo imporre per legge l’adesione ad una religione (che, di per sé, oltre all’aspetto spirituale, è essenzialmente “modus vivendi”)?
Domande, le nostre, non tanto campate in aria. Ci sembra.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc