Sono stati ricordati a Palermo il vice questore aggiunto Antonino Cassarà e l’agente Roberto Antiochia uccisi dalla mafia il 6 agosto 1985.
In piazza Giovanni Paolo II, sulla stele marmorea che ricorda il sacrificio dei due poliziotti, il questore di Palermo Leopoldo Laricchia ha deposto una corona d’alloro alla presenza dei familiari e delle autorità civili e militari.
A seguire, si è tenuta una messa di suffragio celebrata presso la chiesa di San Giuseppe Cafasso.
Le celebrazioni si sono concluse con la visita al “percorso della memoria”, realizzato all’interno del Complesso Santa Elisabetta, sede della Squadra mobile di Palermo, dove sono custodite anche le loro storie.
Il percorso, che oggi apre i battenti ai cittadini, sarà visitabile ogni sabato del mese di agosto, dalle 10 alle 12. Le visite saranno guidate da personale della Polizia di Stato e riguarderanno gruppi composti al massimo da 6 persone con ingresso ogni 30 minuti. I visitatori dovranno presentarsi in piazza della Vittoria n. 15, dove ha sede la Squadra mobile di Palermo, 15 minuti prima dell’inizio della visita.
Antonino Cassarà, vice capo della Squadra Mobile di Palermo, e l’agente Roberto Antiochia condivisero parte della loro vita professionale raggiungendo importanti successi nella lotta alla criminalità organizzata. Insieme trovarono anche la morte in viale Croce Rossa, quando furono colpiti da raffiche di colpi di kalashnikov a pochi passi dall’abitazione del funzionario di polizia, ad opera di un gruppo di nove uomini appostati nei piani del palazzo di fronte.
Antonino Cassarà a Palermo ha rivestito, dal 3 maggio 1980, l’incarico di vice dirigente della Squadra mobile e ha svolto delicate indagini sulle cosche mafiose. Ha partecipato a numerose operazioni di polizia giudiziaria assicurando alla giustizia alcuni tra i più pericolosi esponenti di Cosa Nostra.
Il funzionario ha rappresentato un naturale ed abituale interlocutore per i magistrati impegnati sul fronte dell’antimafia collaborando anche con il giudice Giovanni Falcone. A lui si deve in particolare il cosiddetto “Rapporto dei 162” che costituì la prima pietra su cui fu costruito il maxi processo dell’86.
A segnare il destino del giovane Antiochia fu, invece, l’omicidio avvenuto pochi giorni prima del dirigente della Squadra “catturandi” di Palermo, Giuseppe Montana.
Roberto aveva lavorato con il dottor Montana dal 1983 al 1985 in delicate indagini su Cosa Nostra, e nonostante fosse stato assegnato pochi giorni prima a Roma si trovava a Palermo per partecipare ai funerali.
Arrivato in città Roberto, però, decise di rimanere a causa dell’atmosfera terribile che si respirava in Questura e per il forte legame di amicizia e il senso del dovere nei confronti dei suoi amici e colleghi. Anche se ufficialmente in ferie, infatti, lavorava alle indagini sulla morte del suo ex capo e faceva la scorta a coloro che erano più minacciati: tra questi il vice capo della Squadra mobile Antonino Cassarà.
Entrambi sono stati insigniti della “medaglia d’oro al valor civile alla memoria”.