In Europa si va in pensione a 63 anni e senza penalizzazioni. In Italia a 67 e con un sistema che per le nuove generazioni prevede come assegno al massimo la metà dell’ultimo stipendio. Basta riforme sulla pelle dei contribuenti. La politica riduca i costi e scorpori dall’INPS tutte le uscite non legate alla previdenza.
Il leader del sindacato autonomo rigetta senza se e senza ma il modello di revisione di anticipo pensionistico allo studio del Governo, che vorrebbe elevare da 62 anni a 64 anni la soglia minima per lasciare il lavoro, con una assurda ulteriore riduzione dell’assegno pensionistico per il passaggio all’intero sistema contributivo: “Invece di allinearci alle uscite dal lavoro di Paesi a noi vicini come la Francia, dove il pensionamento scatta a 62 anni senza decurtazioni con ha confermato il presidente Emmanuel Macron quando ha annunciato il ritiro del progetto di legge che voleva innalzarlo a 64 anni, da noi si rimane fermi a 67, con la possibilità che diventino anche di più. Non solo, si vuole ora concedere un leggero anticipo in cambio di un conto salatissimo: perché chi accetta si vedrebbe tagliato di un terzo i contributi versati durante la propria vita lavorativa”
“Il nuovo anticipo pensionistico su cui starebbe lavorando il Governo è una polpetta avvelenata, perché rispetto a Quota 100 contiene una doppia grave penalizzazione: innalza da 62 anni a 64 anni la soglia minima d’accesso e riduce fortemente l’assegno di quiescenza, poiché ricalcolato esclusivamente con il sistema contributivo”: è questa la risposta di Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief, alla volontà dell’esecutivo di introdurre una sorta di “Quota 102“.
L’ipotesi su cui si sta lavorando è quella di introdurre una nuova età anagrafica minima a 64 anni, anziché i 62 attuali. Si starebbe anche ragionando su un ricalcolo per intero delle pensioni future con l’esclusivo sistema di calcolo contributivo, quindi totalmente in base ai contributi versati dal lavoratore tagliando così fuori tutti coloro che hanno diversi lustri da farsi considerare con il sistema retributivo più conveniente.
“Riteniamo la proposta offensiva per i lavoratori italiani – commenta il presidente del sindacato autonomo Anief – perché si sta semplicemente tentando di poterli mandare in pensione sempre più tardi e con assegni quasi dimezzati rispetto a chi ha lasciato l’attività lavorativa solo pochi anni fa. Invece di agire legislativamente sulla riforma Fornero, si stanno strategicamente escogitando dei modelli di anticipo irricevibili: un lavoratore con oltre 35 anni di contributi ha pieno diritto di andare in pensione, senza essere per questo vessato da norme inique. L’assegno di coscienza non deve prevedere ricalcoli perdere e i gli attuali 62 anni minimi di ‘Quota 100’ non vanno toccati”.
“È bene anche – continua il sindacalista autonomo – che la Commissione tecnica sulla previdenza, che secondo la Legge di Bilancio 2020 si dovrà costituire entro fine mese per rivedere i lavori gravosi oggi limitati a 11, allarghi al più presto le categorie da considerare come tali. Prevedendo come gravoso anche l’insegnamento a tutti i livelli, non solo quello della scuola dell’Infanzia, come del resto indicato più recenti indagini scientifiche sullo stress da lavoro correlato, partendo dal fatto che stiamo parlando di una professione particolarmente incline a determinare stress e burnout, oltre il fatto che in Italia abbiamo personale docente più vecchio al mondo. Chi insegna in Italia dovrebbe andare in pensione a 58 anni e con l’80 per cento dell’ultimo stipendio, con una tassazione agevolata al 20% come in Germania dove però a fine carriera si guadagna persino il doppio”.