Pesaro, il silenzio delle istituzioni davanti al GNL: omissione, non neutralità

di Roberto Malini 

Pesaro – Domani mattina, intorno alle 11, il Comitato “Pesaro: NO GNL” ed EveryOne Group consegneranno un dossier sul progetto dell’impianto GNL alla Commissione parlamentare sulle ecomafie, che presenterà presso gli uffici della Prefettura pesarese la Relazione finale sul caso Riceci.

È un momento politico che potrebbe risultare rilevante, ma che, nella stessa città marchigiana, ha luogo in un grottesco silenzio istituzionale, che risuona più in alto di un urlo. In una città che si è appena fregiata del titolo di Capitale italiana della Cultura, ci si aspetterebbe che il principio di responsabilità pubblica venisse onorato con rigore, soprattutto quando in gioco c’è la sicurezza della cittadinanza. 

Sindaci, assessori, figure istituzionali comunemente presenti sui media e nelle piazze cittadine si muovono in un campo minato con passo felpato. Non una parola chiara, non una posizione netta, non un’assunzione di responsabilità davanti a un’infrastruttura classificata per legge come “a rischio di incidente rilevante”. Invece di guidare il dibattito pubblico, di ascoltare le voci preoccupate di cittadini ed esperti, si ritraggono in una zona grigia, fatta di frasi vaghe e di non detti.

Quella a cui assistiamo non è prudenza. È omissione attiva. Un’assenza consapevole, che, come ha scritto Zygmunt Bauman, “equivale a complicità”. Perché tacere davanti a un rischio concreto non è neutralità: è scelta.

Questo atteggiamento ha un nome: “Sindrome del non disturbare il manovratore”. Si tratta di una strategia nota in politica: evitare di turbare gli equilibri con poteri forti (in particolare, imprenditori ricchi e influenti) o con decisioni già prese altrove, spesso lontano dal territorio, nel caso di Pesaro, a livello centrale, ministeriale. Ma mentre le autorità tacciono, i cittadini parlano. Si mobilitano, presentano petizioni, ricorsi, denunce alla Commissione europea, atti formali al Presidente della Repubblica. Lo sdegno monta, nutrendosi di sconcerto, amarezza, angoscia, frustrazione di fronte a rappresentanti della voce popolare che tuttavia non mostrano la volontà di proteggere chi ha accordato loro il consenso.

La città ha detto no al GNL. Lo ha fatto con chiarezza, pacificamente, ma con determinazione. I media, seppure con la timidezza che molti provano di fronte al potere e alla ricchezza, riferiscono le preoccupazioni di una città e le opinioni di esperti e ambientalisti. La politica, invece, balbetta. Minimizza. Parla di sicurezza garantita, di controlli, di necessità energetiche. Ma non affronta mai il nodo centrale: è accettabile costruire un impianto esplosivo a 120 metri dalle case, in zona sismica e alluvionale, a ridosso del centro storico?

Quando la notte scorsa un capannone industriale è andato a fuoco, oltre trenta Vigili del Fuoco sono intervenuti e hanno evitato l’estendersi dell’incidente. La loro efficienza è fuori discussione. Ma in caso di incendio in un impianto GNL? Le modalità d’intervento ordinario non basterebbero. Se soffiasse vento verso la città, se un sisma mettesse a dura prova le infrastrutture, se un’alluvione isolasse l’impianto, nessuno potrebbe più intervenire. Il rischio sarebbe fuori scala.

Eppure la politica tace. Un silenzio che suona sempre più come una tacita connivenza. Ma ogni giorno di silenzio aggiunge un mattone alla responsabilità politica e morale di chi siede nei palazzi del potere. Perché non si tratta solo di gas. Si tratta di persone, di vite, di città. E di una cultura democratica che non può essere sacrificata all’altare degli interessi industriali.

 

Ricostruzione dell’esito di una fuga di GNL presso un centro abitato