A fronte della crescita esponenziale dei contagi le strutture sanitarie sono entrate in una fase di profonda sofferenza. Il direttore della Terapia intensiva dell’Istituto Clinico Casalpalocco di Roma, ha raccontato all’agenzia di stampa Dire come la sua struttura, attivata dalla Regione Lazio come Covid hospital già nella fase 1, si è organizzata di nuovo contro l’espansione della pandemia.
– L’Istituto Clinico Casalpalocco è temporaneamente adibito a covid hospital. Quanto è grave la situazione anche in relazione al numero dei posti letto occupati in Ti? E’ previsto un loro aumento se la curva continua a crescere anche nel Lazio? “Le terapie intensive sono piene ovunque nel Lazio. La nostra struttura in particolare e’ piena per l’80-83% della sua capacità questo perché, aumentando il numero dei contagiati cresce anche il numero dei pazienti sintomatici e gravemente sintomatici che necessitano di terapia intensiva. La Regione sta organizzando l’ampliamento dei posti letto in TI e anche noi, come gruppo Gvm stiamo aumentando la disponibilità di posti letto in TI a brevissimo apriremo altri 19 posti letto in un’altra nostra struttura che è Villa Tiberia Hospital a Roma. A oggi qui a Casalpalocco abbiamo 23 posti letto occupati con il potenziamento arriveremo a 49 posti letto disponibili e come gruppo disponiamo inoltre di 60 posti letto per pazienti Covid in sub intensiva tra le due strutture romane del Gruppo”.
– In questa seconda ondata l’identikit del paziente e’ cambiato oppure no? Qual è l’età media dei vostri pazienti? E come viene gestito un paziente covid in TI? “L’età media dei pazienti gravemente sintomatici per fortuna è sempre la stessa. Sono stati registrati dei picchi di contagio nel Lazio. Posso riferire per esperienza diretta di un ragazzo di 23 che si è recato da noi positivo al Coronavirus e che poi abbiamo trasferito al Policlinico Umberto I. Capita infatti che qualche giovanissimo diventa gravemente sintomatico e quindi necessita di intubazione e di essere gestito in terapia intensiva. I malati ricoverati nel reparto di TI in generale hanno necessità di assistenza continua, di monitoraggi invasivi e sono attaccati ad una macchina che li aiuta a respirare e che si chiama ventilatore meccanico. In reparti come il nostro si attuano in pratica tutte le cure urgenti diverso è ciò che accade nel reparto di subintensiva dove il paziente viene monitorato o ventilato però in maniera non invasiva”.
– In questa emergenza l’ospedale è diventato il punto di riferimento per molti pazienti affetti dal virus ma necessitano tutti di ricovero o molte situazioni potrebbero essere gestite sul territorio? Cosa continua a mancare in questo senso? “Per fortuna i pazienti Covid positivi che necessitano di ricovero sono una piccola percentuale rispetto al numero totale di tutti i contagiati asintomatici. Il problema è che essendo migliaia i contagiati asintomatici molti sono ‘abbandonati’ a casa e non hanno la possibilità di essere contattati. A esempio io ricevo decine di chiamate al giorno di persone che mi chiedono cosa fare e questo dipende dall’elevato numero di contagi che si sta verificando però per fortuna di queste persone pochi arrivano in ospedale”.
– Secondo lei le misure contenute nel nuovo dpcm freneranno l’avanzata del virus? Insomma il problema sono gli aperitivi o il trasporto locale nelle grandi città come Roma o Milano? “La soluzione non e’ fermare tutto alle 18. Il contagio non si ferma con il tramonto. Il problema principale sono sicuramente i trasporti locali dove la gente viaggia ammassata per raggiungere i posti di lavoro. Per questo sarebbe importante favorire tutto ciò che aiuta nel distanziamento sociale. E poi gli italiani dovrebbero imparare ad usare correttamente la mascherina, a sanificare bene le mani e ricorrere all’uso dei guanti per andare al supermercato o al bancomat, tutti posti ‘pericolosi’ che espongono al contagio. Certamente bisogna cambiare il modo di essere ed evitare, per ora di salutarsi abbracciandosi. Sicuramente la lotta al virus non si batte riducendo aperitivi, cene e chiudendo le palestre queste cose sono piuttosto forme di prevenzione ma non sono la soluzione migliore”.