Prevenzione e riduzione del rischio per i fumatori che non vogliono smettere

I fumatori in Italia sono oltre 12 milioni e purtroppo dopo il periodo pandemico sono aumentati di circa un milione, mentre sono 93mile le persone all’anno che muoiono per le conseguenze del fumo da sigaretta, secondo i dati del Ministero della Salute. E c’è un altro dato: se presso i centri antifumo, che oggi hanno minore appeal rispetto al passato, si registra un numero di affluenza bassissimo, lo 0,1% della popolazione dei fumatori, dall’altra i forti fumatori rappresentano il vero problema clinico in quanto non sono raggiungibili con le attuali proposte di aiuto. Serve un momento di riflessione perché il tabagismo è un fenomeno molto insidioso e deve essere affrontato con forza attraverso la cultura della riduzione del rischio e una solida rete di clinici, pazienti e associazioni di pazienti. È quanto emerso a Napoli nel corso della Winter School di Motore Sanità.

Sulle conseguenze del fumo è intervenuta Anna Iervolino, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli. «Il fumo è una causa nota o probabile di almeno 25 patologie, tra cui broncopneumopatie croniche ostruttive (BPCO) e malattie cardiovascolari. Circa l’85% dei casi di carcinoma del polmone è legato al fumo di sigaretta. Stiamo parlando di una neoplasia tra le più letali che, tuttavia, non scoraggia il fenomeno del tabagismo. È una battaglia contro una delle dipendenze più subdole, per questo bisogna sensibilizzare tutto il personale sanitario a promuovere percorsi personalizzati utili a disincentivare il fumo di sigaretta, indirizzando i pazienti nelle strutture preposte. Il fondamentale ruolo svolto dai centri antifumo deve essere potenziato e promosso».

“E’ estremamente importante fare capire alle persone che l’abitudine al fumo è molto insidiosa e pericolosa perché i danni non si manifestano in maniera acuta, come in altre patologie (quelle cardiovascolari, come l’infarto del miocardio per esempio) ma hanno un tempo di latenza molto lungo, di 20-30 anni, per potersi affermare, quindi bisogna fare capire che le conseguenze sono estremamente debilitanti e alterano la qualità di vita delle persone” ha spiegato Alessandro Vatrella, Presidente Società Italiana Pneumologia Campania, impegnato nella cura dei pazienti che sviluppano malattie legate all’abitudine del fumo di sigaretta.

Malattie come la BPCO in primis, che sta assumendo dimensioni epidemiche in tutto il mondo e anche in Italia ha una prevalenza estremamente importante sia in termini di costi sanitari, sia di morbilità che di mortalità. Ma i danni del fumo si rivelano anche a livello di altri organi e apparati, soprattutto quello cardiovascolare e a livello neurologico.

Il consiglio – ha aggiunto il professor Vatrella – è di evitare di iniziare a fumare e su questo c’è bisogno di un impegno sociale molto importante. In relazione alle ultime modalità di assunzione di fumo, prodotti a tabacco riscaldo e sigarette elettroniche, possono anche rappresentare delle vie di uscita ma in casi molto limitati, molte volte rappresentano una porta di ingresso per l’abitudine tabagica al fumo di sigaretta vera e propria”. 

Così Francesco Fedele, Direttore di Dipartimento di Cardiologia Policlinico Umberto I La Sapienza di Roma “Da un punto di vista della prevenzione, ci sono due aspetti da considerare: l’iniziazione del fumo che dovremmo riuscire a combattere, e poi c’è il problema dei pazienti che nonostante abbiamo avuto eventi gravi legati al fumo (ictus, infarto), non rinunciano al fumo di sigaretta, in questi casi credo che sia importante trovare delle alternative. Già sarebbe un grande passo avanti il fatto di potere ridurre il rischio in coloro che non vogliono smettere di fumare, che sono il 50% dei fumatori”.

Riccardo Polosa, Fondatore del Centro di Ricerca per la Riduzione del danno da fumo CoEHAR si è appellato: “Dobbiamo aiutare le istituzioni a pensare ad una politica sanitaria che possa soddisfare i bisogni delle persone che non vogliono o che non riescono a smettere di fumare. Ecco perché abbraccio l’idea della riduzione del rischio che rappresenta la soluzione, un’opportunità straordinaria di cambiamento e di accelerazione in termini di salute individuale e pubblica. Ritengo grave insistere nel nascondere ai cittadini le reali opportunità offerte dagli strumenti a potenziale rischio ridotto, addirittura additandoli come pericolosi al pari delle sigarette convenzionali. Bisogna smetterla di enfatizzare i rischi senza considerarne i benefici. L’Italia deve riaccendere i riflettori sulla sensibilizzazione antifumo, integrando il principio di precauzione con quello del rischio ridotto”.

Lo scenario scientifico relativo alla questione del fumo elettronico e alla riduzione del rischio applicata al mondo del tabagismo si è arricchito di recente di contributi molto significativi. Una recente Cochrane di fine 2021 già presentava una rigorosa selezione di 78 studi completati con 22.052 partecipanti. Di questi 40 erano studi randomizzati. Le conclusioni erano che risultavano prove ad alta certezza che le sigarette elettroniche con nicotina aumentassero i tassi di cessazione rispetto alla nicotina erogata farmacologicamente. In aggiunta erano state identificate prove di moderata certezza che l’uso di sigarette elettroniche prive di nicotina aumentasse ancora i tassi di abbandono del fumo di tabacco. I dati dimostravano anche che nel follow-up di due anni (il periodo più lungo misurato) il consumo di sigarette elettroniche si era rivelato sostanzialmente privo di eventi avversi e non erano   state reperite prove di gravi danni da nicotina assunta tramite dispositivo elettronico. Si ricorda che la nicotina erogata dalle sigarette elettroniche è la stessa dei formati farmacologici.

Pochi giorni fa – ha illustrato Fabio Beatrice, Primario Emerito di Otorinolaringoiatria in Torino, Fondatore del Centro Antifumo Ospedale SG. Bosco di Torino e Direttore Scientifico del Board di MOHRE – la prestigiosa rivista Nature Medicine pubblicava uno studio nel quale sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti si associava un aumento della cessazione del fumo del 10-15% con l’uso di sigarette elettroniche. Coloro che essendo fumatori svapavano frequentemente avevano una probabilità significativamente maggiore di smettere di fumare rispetto ai fumatori che non svapavano. Addirittura i centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie hanno riferito che era più probabile che i fumatori utilizzassero le sigarette elettroniche nei tentativi di smettere rispetto a qualsiasi altro prodotto, compresi i farmaci per smettere di fumare approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) statunitense. In questo articolo – ha proseguito il professor Beatrice – venivano anche contraddetti i risultati di ricerche che pure si erano guadagnate l’attenzione dei media e di talune società scientifiche che paventavano forti tossicità a carico della sigaretta elettronica. Di fatto a suo tempo molti studiosi tra i quali il sottoscritto avevano già criticato questi ingannevoli dati di laboratorio che presentavano condizioni metodologiche di studio assai lontane dalla realtà clinica dei fumatori e degli utilizzatori di sigaretta elettronica. Sulla base di questi dati – ha concluso Beatrice – si auspica che le decisioni politiche e regolatorie traggano utili insegnamenti da queste informazioni e intervengano nelle politiche di aiuto ai fumatori incalliti con l’avvallo di strategie di riduzione del rischio. La questione appare urgente dal momento che 93mila fumatori muoiono ogni anno in Italia secondo le indicazioni del Ministero della Salute”.