L’inerzia dello Stato è stata confermata nell’audizione davanti alle Commissioni Cultura congiunte di Senato e Camera sulle linee programmatiche del nuovo corso ministeriale: per rilanciare la nostra ricerca, ha ammesso il Ministro, occorrono finanziamenti talmente ingenti che non si possono recuperare solo dal pubblico…
Cresce la preoccupazione per lo stato di abbandono della ricerca italiana e, soprattutto, dell’impossibilità anche da parte di questo governo di porvi rimedio. L’inerzia dello Stato è stata confermata ieri dal Ministro dell’Istruzione. Università e Ricerca, Marco Bussetti, nel corso dell’audizione davanti alle Commissioni Cultura congiunte di Senato e Camera sulle linee programmatiche del nuovo corso ministeriale: per rilanciare la nostra ricerca, ha ammesso il Ministro, “servono finanziamenti talmente ingenti che non si possono recuperare solo dal pubblico, serve un partenariato pubblico-privato in favore della ricerca”.
Bussetti non ha poi nascosto il fallimento della politica del blocco delle assunzioni, mai sanata da quando il governo Berlusconi ha prodotto diecimila soprannumerari e il blocco del turn over: “Siamo in fondo alla classifica dei Paesi Ocse per numero di professori universitari e ricercatori in rapporto agli studenti. Abbiamo quindi bisogno – ha esortato il Ministro – di accrescere in modo significativo il numero dei ricercatori e dei professori, non solo consentendo la sostituzione di ogni professore pensionando ma anche creando le condizioni affinché i giovani talenti possano rientrare in Italia”.
L’allarme lanciato da Bussetti è confermato dai numeri: l’Italia si posiziona infatti 30esima sui 33 paesi Ocse per spesa nell’Università e addirittura ultima per percentuale di investimenti riferita al Pil. “Per garantire l’attività scientifica – ricorda Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal – servono sicuramente investimenti veri, affiancati da nuove disposizioni normative. Bisogna, ad esempio, recepire sul piano pratico la Carta europea dei ricercatori e reintrodurre la loro figura a tempo indeterminato: seimila dovevano essere assunti a inizio 2010, prima che fosse messo ad esaurimento, ma non è stato mai fatto. E oggi c’è un vuoto spaventoso. Eppure ci sono tantissimi ricercatori professionisti in uno stato di precarietà”.
Anche gli ultimi due governi si sono adeguati all’inerzia: basta ricordare che con la Legge di Stabilità 2015 sono stati introdotti nuovi tagli al fondo di funzionamento ordinario dell’Università pubblica, pari a 98 milioni in tre anni a partire dal 2016. Per i ricercatori non è stata mai ripristinata la figura e prevista la messa in ruolo, malgrado le innumerevoli richieste del sindacato, l’ultima della quale attraverso la Legge di Stabilità di fine 2017.
“Bisogna abbandonare una volta per tutte l’equivoco di associare il merito con il numero di pubblicazioni – aggiunge Pacifico – perché la valenza di un ricercatore e di un docente accademico va verificata andando a misurare l’impatto scientifico del suo operato. Non lo dice il sindacato, ma la stessa Carta europea dei ricercatori, in base alla quale questi professionisti andrebbero collocati, a domanda, in un albo nazionale dei ricercatori dalla comprovata esperienza, in base al settore scientifico-disciplinare di afferenza, da cui le Università, con chiamata diretta, potrebbero attingere per l’assunzione dei ricercatori a tempo indeterminato”.