Indagine EY-SWG: Lavoro e attrattività, a che punto siamo in Italia?
Il mondo del lavoro italiano è promosso per la qualità delle proprie produzioni, ma non ottiene la sufficienza in termini di capacità di innovazione, produttività del lavoro e competitività internazionale. È quanto emerge dall’indagine “Lavoro e attrattività, a che punto siamo in Italia?” realizzata da EY, insieme a SWG, su un campione di più di 500 manager e imprenditori italiani.
Sebbene i più recenti dati dell’Istat sull’andamento dell’occupazione in Italia registrino un aumento dell’occupazione, quasi la metà degli intervistati ha espresso dubbi sulla sostenibilità del sistema nel medio-lungo termine.
In particolare, il 76% ritiene che, piuttosto che alla quantità degli occupati, è necessario fare riferimento alla qualità del lavoro per progettare politiche del lavoro efficaci e il 70% dichiara che l’aumento dell’occupazione è legato soprattutto a posizioni poco qualificate e nasconde le grosse difficoltà che le aziende hanno a individuare personale qualificato.
Un tema quest’ultimo particolarmente spinoso, stando alla fotografia scattata da EY e SWG: tre aziende su quattro cercano o hanno cercato personale nell’ultimo anno e, nel complesso, il 62% ha riscontrato difficoltà legate in primo luogo (59%) alla mancanza di candidati adeguatamente qualificati. Circa il 70% del campione ritiene che oggi sia molto difficile reperire personale con qualifiche e competenze coerenti con le esigenze aziendali.
Stefania Radoccia, Managing Partner dello studio legale e tributario di EY, commenta: “Da troppo tempo il tema del lavoro non è al centro del dibattito, invece è assolutamente centrale. Si tratta di un tema fondamentale per incidere sull’attrattività del Paese e delle aziende italiane. Ne sono convinti anche i manager e gli imprenditori che abbiamo intervistato insieme a SWG: per il 74% politiche del lavoro non all’altezza della situazione penalizzano l’attrattività del Paese. In questo momento, inoltre, il livello di fiducia non è altissimo: circa la metà degli intervistati non è sicuro che si potranno realizzare tutti gli interventi necessari. È quindi fondamentale muoversi rapidamente e in modo efficace e immettere fiducia nel sistema, attraverso una riforma organica, una vera e propria politica industriale del lavoro, per incidere in maniera concreta ed efficace sull’attrattività del Paese”.
I manager e gli imprenditori intervistati individuano quattro priorità chiave: l’82% ritiene utili implementare misure per favorire la conciliazione dei tempi di vita e lavoro per le famiglie; l’81% caldeggia una riduzione strutturale del costo del lavoro (abbattimento del cuneo fiscale), un incremento dell’offerta formativa professionalizzante (81%) e la semplificazione delle procedure amministrative per la gestione del personale da parte delle aziende (81%).
Guardando in prospettiva, l’82% del campione è d’accordo nel ritenere che il lavoro del futuro sarà più automatizzato e l’81% che richiederà profili professionali sempre più specializzati.
“La trasformazione tecnologica iper-accelerata avrà un impatto notevole sulle dinamiche lavorative a livello nazionale e globale. È fondamentale che la formazione, intesa anche come upskilling e reskilling, si parli con la politica industriale del Paese. Soltanto attraverso l’incrocio di queste due variabili saremo in grado di incidere concretamente su salari, produttività e innovazione. E in questo è cruciale il ruolo del governo: il 52% degli intervistati si aspetta che il governo assuma un ruolo di guida e da protagonista, fiancheggiato dalle aziende (32%) in una logica di sistema” – prosegue Radoccia.