La notizia è di quelle agghiaccianti;: un ragazzo di 17 anni che i genitori hanno cuccato in casa con alcuni spinelli, ha deciso, senza tante messe in scene e discussioni, di farsi fuori: si è gettato dalla finestra ed è morto.
Un ragazzo di 17 anni uguale ai nostri figli, che si fanno le canne, dicono le parolacce, qualche volta fanno forca a scuola, rispondono con grugniti (quando rispondono) alle nostre sollecitazioni, si chiudono in camera quando sono a casa, stanno per ore a navigare con il telefonino o a leggere libri che mediamente non ci piacciono o a vedere altrettanti programmi tv che ci fanno rabbrividire, stanno distesi nel letto sognando ad occhi aperti magari pensando a una ragazza o a un ragazzo, studiano il giusto per giustificare anche a se stessi di essere lì in quella scuola… insomma un ragazzo che la colloquialità definisce normale.
Certo, ci sono anche altri tipi di 17enni, quelli che gli altri coetanei definiscono secchioni e che non sono necessariamente antipatici e presuntuosi; ma, pur se nell’immaginario collettivo dovrebbero essere i cocchi dei genitori, mediamente vivono prematuramente i riflessi (e le speranze) dei genitori stessi, come se dalla pubertà avessero fatto un salto a pie’ pari verso il mondo degli adulti, ignorando l’adolescenza. Ragazzi che hanno problemi? Non necessariamente: anche i ragazzi sono individui e, a parte i fanatismi che vorrebbero forgiarli per il mondo degli adulti, ognuno è a sé stante.
Tra questi c’era anche il ragazzo che viveva alle porte di Roma e che si è gettato dalla finestra e, ci dispiace dirlo, per colpa dei suoi genitori. Siamo crudeli, irrispettosi, violenti, esagerati, estremisti? No, semplicemente siamo stati anche noi 17enni e abbiamo figli 17enni. Che fanno e/o pensano cose che non condividiamo, spesso con comprendiamo… insomma come quei 17enni che abbiamo descritto sopra, secchioni inclusi. Figli con cui parliamo anche di droghe illegali, di prostituzione, di sessualità, di sogni, di onestà e di altruismo e che – spesso – ci dicono “babbo che palle” e fanno finta di annuire perché preferiscono tornare a fare quello che il nostro intervento ha interrotto.
Cosa vogliamo dire? Che mai, ma proprio mai, ci sogneremmo di dire a questo nostro figlio cosa sia giusto o sbagliato, magari imponendogli con la nostra presunta autorità il nostro presunto giusto. Semplicemente gli diciamo la nostra opinione su questa o quell’altra questione, magari surrogata da qualche nostra esperienza, aggiungendo: “poi fai come tu ritieni giusto”. E – esperienza dello scrivente – mia figlia non si è buttata dalla finestra, non ha rubato ai compagni di scuola o in qualche supermercato, non usa il suo corpo a mo’ di prostituta, forse si fa qualche canna e qualche cicchetto ma non ci sembra che arrotondi la paghetta spacciando ai suoi compagni. Figlia virtuosa? Non crediamo, ma probabilmente figlia informata che si confronta con le diverse opzioni sulle questioni per lei importanti.
Tornando al nostro 17enne romano che si è suicidato grazie alla lungimiranza dei suoi genitori, è a questi ultimi che ci rivolgiamo. Non vi diciamo di suicidarvi, anche perché l’istigazione al suicidio è un reato nei nostri codici, ma fate tesoro di quello che vi è accaduto: ci sono tanti altri ragazzi che potrebbero aver bisogno di voi che avete sbagliato e che forse avete voglia di capire perché e per come, in un’isola sperduta nei mari del Pacifico del Sud o in India o in Brasile o nella periferia degradata della vostra città. Ma fate attenzione e tenete presente che tutto ciò che è illegale (droghe incluse) se esasperato nei livelli del presunto bene e del presunto male, invece di essere razionalizzato, può dare i risultati drammatici di cui siete stati istigatori/protagonisti.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc