Il Presidente del Sindacato: «Al recente concorso di Bari, per 566 posti a tempo indeterminato, tra i 4500 candidati, c’erano un centinaio di colleghi provenienti da Inghilterra e Germania. Creiamo le condizioni ideali affinché decidano di fare ritorno a casa, incentiviamo la valorizzazione di una professione che è e sarà sempre perno fondamentale di un sistema sanitario vetusto e traballante. Facciamo soprattutto in modo che i giovani neo laureati scelgano di rimanere nel nostro Paese».
«Vogliono tornare a casa. E sono davvero in tanti. Ci scrivono ogni giorno da Inghilterra, Germania, Lussemburgo. Arrivano a prendere anche stipendi di 2500 euro al mese, si accontenterebbero di guadagnare di meno pur di riavvicinarsi in qualche modo alle loro famiglie e alla loro terra di origine. Ci chiedono consigli, sostegno, informazioni sulle realtà concorsuali nelle varie Regioni.
Aspirano legittimamente a un contratto a tempo indeterminato qui in Italia. E non hanno torto: solo in questo caso, seppur con meno soldi in busta paga, tornerebbero nel Paese che hanno lasciato a malincuore, trovando condizioni ben differenti rispetto a quelle che vivono all’estero, come formazione costante, possibilità di scatti di carriera, percorsi finalizzati da subito ad imparare la nuova lingua.
Sono gli infermieri italiani nel mondo, quelli con cui abbiamo contatto costante, quelli che speriamo e confidiamo che, attraverso un piano strategico mirato, per una sanità dal volto nuovo, possano tornare in Italia, naturalmente alle giuste condizioni economiche.
Condizioni che finalmente facciano parte di un piano organizzativo ad hoc che punti a valorizzare una professione che ha dimostrato, se era ancora necessario, di possedere competenze, coraggio, conoscenze. Di essere in grado di sorreggere il peso di una emergenza sanitaria che, da un anno a questa parte, ha visto noi infermieri costantemente al fronte, come soldati senza paura, spesso combattendo a mani nude e rischiando la vita (81 ad oggi sono gli infermieri deceduti da inizio pandemia)!
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up, racconta la sua esperienza quotidiana con i tanti colleghi che chiedono aiuto alla sede nazionale del sindacato per capire se esistono le condizioni idonee tornare a casa.
«Mi rivolgo speranzoso al nostro nuovo Premier Draghi, confidando che il suo impegno e la sua esperienza possano rappresentare una svolta, affinché, di concerto con il riconfermato Ministro della Salute Roberto Speranza, diano impulso alla valorizzazione di una professione fin troppo bistrattata.
Riportare a casa tanti infermieri italiani all’estero potrebbe rivelarsi una scelta vincente nell’ottica della carenza di personale che ci affligge (tra gli 85mila e i 90mila infermieri mancano in Italia). Ma dobbiamo prevedere gioco forza assunzioni e contratti degni di tal nome.
Nessuno di noi si illude di arrivare in un colpo solo ai 2500/3000 euro mensili di un infermiere italiano in Inghilterra, ma confidiamo almeno che qualcosa possa cambiare in meglio rispetto al precariato nel quale navighiamo e rispetto al muro invalicabile dei 1400 euro al mese di media in busta paga che ci collocano tra gli infermieri meno pagati d’Europa.
Creiamo da subito le condizioni ideali affinché non solo tanti colleghi già all’estero possano riavvicinarsi a casa, ma affinché anche i neo laureati possano decidere di non intraprendere il percorso di lasciare l’Italia, creando quindi forze nuove su cui puntare.
Possiamo ripartire da un sistema organizzato in modo diverso, con turni meno massacranti, con adeguati ricambi di personale, sfruttando al meglio le potenzialità che ci distinguono in meglio su tante realtà del vecchio continente. Evitando che i ritardi di un piano vaccini, nato male e pensato male, pesino ulteriormente sulla salute dei pazienti e sulle prestazioni della sanità ordinaria già affossata dalla carenza di personale con reparti su reparti costretti alla chiusura perchè buona parte dei colleghi, i pochi che ci sono, da 12 mesi a questa parte, sono stati convogliati nelle aree covid.
Nessuno dimentichi, c’è da dirlo, che il Covid ha valorizzato ancora di più, agli occhi dei cittadini, la figura dell’infermiere. Abbiamo dimostrato coraggio, abgnegazione, competenze, sangue freddo. Questo si è tradotto in un aumento considerevole di richieste di iscrizione, lo scorso autunno, ai test di ammissione. Ma la laurea in infermieristica, con tre anni di studio intenso e tirocinio dal primo giorno, è dura e complessa da portare fino in fondo. Molti sono i giovani che abbandonano, quasi la metà dopo il primo anno e tanti altri prima della conclusione del percorso di studi.
Chi riesce ad arrivare fino in fondo confida di trovare subito uno sbocco professionale: e se l’Italia non lo offre, con strutture vetuste, organizzazioni deficitarie e proposte contrattuali poco edificanti, per un giovane laureato allora si spalancano legittimamente le porte di un sogno che si chiama Germania o Inghilterra.
Al concorso di Bari, non è un caso, alla prima prova, si sono presentati nei giorni scorsi, su 4500 candidati, per i previsti 566 posti a tempo indeterminato, ben 42 infermieri dal Regno Unito, 39 dalla Germania, 3 dall’Irlanda e 1 da Malta. L’età media dei candidati era tra i 25 e i 40 anni.
Possiamo volutamente ignorare questi dati? Quanti concorsi come quello dell’Asl del capoluogo pugliese offrono questa opportunità?
E allora confidiamo davvero che finalmente questo Governo dia la spinta per cambiare le cose!»