Osteoporosi e fratture: la prevenzione secondaria passa per i servizi di prevenzione …
L’osteoporosi è ufficialmente riconosciuta come il principale fattore che contribuisce al carico globale di malattia, parola di OMS. Questo nonostante la disponibilità di farmaci efficaci ma ancora sottoutilizzati: riceve un trattamento farmacologico adeguato meno del 20% delle persone che hanno subito una frattura da fragilità. In Italia le fratture da fragilità ossea, colpiscono una donna su tre e un uomo su 5 dopo i cinquant’anni [1]. Eppure, queste sono un fattore di elevata mortalità a 12 mesi negli anziani con ratei intorno al 25% [2]. Complice l’aumento dell’età media della popolazione, si stima che il numero delle sole fratture di femore possa raddoppiare entro il 2050.
Un recente editoriale apparso su New England Journal of Medicine [3] ha analizzato un particolare modello diagnostico terapeutico per limitare l’incidenza delle fratture secondarie, così come spiega il professor Nicola Napoli, membro del Consiglio Direttivo della SID e prima firma del lavoro: “I ‘servizi di prevenzione delle fratture’ o FLS (fracture liason service), hanno lo scopo di individuare e prendere in carico soggetti che hanno subito una prima frattura creando un ponte tra l’evento acuto e la gestione del dell’osteoporosi a lungo termine. Nel mondo attualmente ce ne sono quattro modelli che variano in funzione dell’intensità delle cure prestate. In generale, comunque, il servizio prevede l’identificazione dei pazienti, l’assessment in termini di rischio di fratture, rischio di cadute e status nutrizionale e l’applicazione di misure di prevenzione stilato da un team formato da endocrinologi, ortopedici, geriatri, internisti ecc. Piano che può includere farmaci, esercizi di equilibrio e resistenza e counseling nutrizionale. Gli interventi a bassa intensità invece prevedono un monitoraggio periodico della salute ossea”. Approccio multidisciplinare che ha rivelato un alto profilo di costo efficacia: fornisce infatti un risparmio di 10,49 $ per ogni dollaro investito.
Numerose società scientifiche internazionali hanno caldeggiato la necessità di una presa in carico tempestiva dopo la prima frattura da fragilità e i paesi che hanno adottato indicatori di qualità delle cure come Australia e Danimarca hanno mostrato una riduzione della mortalità. Modelli di cura multidisciplinari come questo sono stati già proposti, con successo, da società scientifiche come ADA e American Heart per la gestione di malattie croniche come il diabete o la cardiopatia ischemica.
“La prevenzione degli eventi secondari di fondamentale importanza in molte patologie” sottolinea la professoressa Raffaella Buzzetti, Presidente SID “e spesso rappresenta il maggior onere economico per i sistemi sanitari e di salute e scadimento della qualità della vita per le persone e le loro famiglie. Ecco perché la presa in carico tempestiva e l’adozione di specifici modelli organizzativi per la prevenzione secondaria insieme al monitoraggio dell’aderenza farmacologica sono centrali nell’assistenza. Inoltre, le persone con diabete hanno un rischio molto alto di frattura di femore e un tasso di complicanze e mortalità significativamente più alto di un paziente non diabetico. A maggior ragione, questo modello di cura dovrebbe essere adottato per pazienti fragili”.
Attualmente, si stima che le fratture da fragilità possano impattare sulla spesa sanitaria del nostro Paese per un importo di circa 10 miliardi di euro all’anno con un possibile trend in crescita legato all’invecchiamento [4].