Con Omicron 5 alle porte e l’aumento graduale dei contagi, è lecito chiedersi se saremo davvero in grado di affrontare una nuova emergenza.
In molte regioni gli infermieri sono stanchi e logorati e vivono situazioni di disagio da troppo tempo. Il rischio di fughe in altri reparti, all’estero o addirittura di dimissioni volontarie, è tristemente dietro l’angolo…
ROMA – «Cosa rischia concretamente una già febbricitante sanità italiana, messa a dura prova da mesi e mesi di emergenza, rispetto al concreto e fino a pochi giorni fa inatteso rischio di una nuova ondata?
Omicron 5 sta bussando prepotentemente alle nostre porte, la pericolosa recrudescenza dei contagi è una realtà con la quale oggi dobbiamo fare i conti.
Ma siamo, in fondo, ancora nella favorevole posizione di trarre vantaggio dalle pesanti batoste che abbiamo subito. Siamo ancora in tempo, la risalita dei contagi non è certo all’acme. Le cicatrici che ci portiamo addosso noi infermieri, quelli più di tutti esposti al confronto con la morte, quelli che più di tutti hanno pagato in termini di decessi e infezioni, devono gioco forza rappresentare la base, la lectio da cui partire per evitare di cadere nelle medesime voragini che di certo troveremo ancora sul nostro cammino.
Possiamo cadere in piedi, non c’è dubbio, a condizione però che organizzazioni e strutture intorno a noi non rappresentino nuovamente un muro pericolante, destinato a cadere alla prima scossa di assestamento.
E’ però lecito, a questo punto, cercare di comprendere cosa sta accadendo nella sanità pubblica, tracciare un quadro della situazione regione per regione per provare a porre subito rimedio con azioni concrete e fattive, all’interno della complessa realtà degli ospedali di casa nostra.
Per questa ragione proviamo a guardare con attenzione ai nostri pronto soccorsi, notoriamente i reparti chiave di ogni struttura ospedaliera, laddove si concretizza il primo impatto tra paziente e operatore sanitario, laddove si avvertirà, gioco forza, il fardello di eventuali nuovi ricoveri e contagiati».
Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.
Ecco il nostro viaggio nei pronto soccorsi degli ospedali italiani che, in questo inizio di giugno 2022, sono ahimè già una polveriera.
Siamo di fronte a ferite mai sanate come carenza di personale all’acme e disorganizzazione, nonché lacune strutturali datate , con gli infermieri letteralmente in fuga, pronti, nella migliore delle ipotesi a cambiare reparto o a lasciare la sanità pubblica per quella privata.
Nel peggiore dei casi, non lo dimentichiamo, si decide di fuggire all’estero accettando le proposte certo più allettanti dei nostri “vicini di casa”, senza dimenticare chi, all’acme dello stress e della paura, costretto a subire anche le botte da parte dei pazienti fuori controllo, decide di lasciare definitivamente questa professione.
Dal quadro che emerge, con i contagi di cittadini e operatori sanitari non ancora in uno status di massima allerta, viene legittimamente da chiedersi cosa accadrà se saremo davvero di nuovo in balia delle onde di una tempesta.
CAMPANIA, OSPEDALE CARDARELLI: BARELLE AMMASSATE NEL PRONTO SOCCORSO, BIGLIETTINI APPICCICATI SULLE LETTIGHE PER RICONOSCERE I PAZIENTI E I CASI DI CUI SONO AFFETTI
Anche se i vigilantes tentano di vietare ai pazienti e ai loro famigliari di girare video con i cellulari, la situazione del Pronto soccorso del più grande ospedale del sud è critica come non mai. Il caos regna sovrano al PS dell’ospedale Cardarelli di Napoli.
Per cercare di districarsi sono spuntati anche i post-it sulle barelle. Anzi, più che i foglietti adesivi colorati – usati per promemoria – qui si tratta dei ben più canonici fogli A4 con il cognome del paziente scritto a mano. Ad indicare che questi è ricoverato nell’ambito del Pronto soccorso. Facendo di conto: circa cinquanta persone massimo all’interno degli Obi (ordinari), mentre il resto – di prassi – in corridoio.
MARCHE OSPEDALE SAN BENEDETTO
Il Pronto soccorso chiama ma la direzione non risponde e 30 infermieri chiedono formalmente il trasferimento presso altri reparti. La tensione è alle stelle presso il reparto di emergenza del Madonna del Soccorso che chiede rinforzi sul personale, a cominciare dal triage.
In 30 hanno firmato una missiva rivolta al direttore dell’Area vasta 5, al primario, al coordinatore del Pronto soccorso e al dirigente delle professioni sanitarie. Parlano di condizione disumane, vogliono letteralmente fuggire via.
Tra l’altro, i pazienti dei vari reparti del Madonna del Soccorso che risultano positivi al Covid vengono trasferiti al Pronto soccorso creando un ulteriore aggravio di lavoro per l’emergenza.
SICILIA MESSINA PRONTO SOCCORSO
Locali ancora fatiscenti e ritardi nei lavori al pronto soccorso del policlinico di Messina, Così il personale è lasciato in una tenda a fare una sorta di pre-triage in balia di chiunque volesse compiere azioni violente nei loro riguardi. Ci dicono che manca persino un ambulatorio dedicato ai codici bianchi e verdi che decongestionerebbe i locali inadeguati, che risultano in ogni momento sovraffollati.
LAZIO, Roma est in ginocchio
A soffrire di più, come certificato anche dalle recenti ispezioni dei Carabinieri del NAS, è il quadrante est della capitale, in cui posti letto per mille abitanti sono molti meno che nel resto di Roma e dove l’unico pronto soccorso ‘pubblico’ in grado di smaltire le urgenze è quello del Policlinico di Tor Vergata. Manca il filtro della medicina del territorio, posti letto e personale scarseggiano, medici e infermieri d’urgenza fanno il lavoro di altri. E le soluzioni di Regione e Pnrr “sono solo delle toppe”.
TRENTINO
Pronto soccorsi nel caos, carenza di professionisti all’acme e concreto rischio di fuga di molti verso il privato e l’estero. E’ la denuncia raccolta dai nostri referenti locali.