Scia inaudita di violenze ai danni degli infermieri del 118 negli ultimi giorni. Dilagano i casi di aggressione fisica e di vergognose minacce di morte nei confronti dei nostri professionisti che operano in esterna sulle ambulanze

«Chi protegge i nostri operatori sanitari al di fuori degli ospedali? Vi raccontiamo gli ultimi tre casi eclatanti che si sono verificati a dicembre, solo in Campania, in quella, che come tante altre, appare oggi come una triste terra di nessuno».

«Non è esagerato definirla come la terra di nessuno. Un deserto di aggressioni fisiche dove, oltre ai calci e ai pugni, siamo arrivati alle minacce di morte e addirittura alle pistole. Stiamo parlando di quanto è accaduto in Campania, solo nell’ultimo mese, ai danni dei nostri operatori sanitari del 118. I pericoli e i rischi, quindi, la fanno da padrone non soltanto nelle corsie degli ospedali, dove mancano quei presidi di pubblica sicurezza che da tempo sindacati come il nostro, con i propri appelli drammaticamente inascoltati, chiedono a gran voce.

L’infermiere che opera sull’ambulanza, il professionista che soccorre i pazienti per strada o nella propria abitazione, e che agisce prontamente su chiamata del malato, davvero non sa chi e cosa rischia di trovarsi di fronte.

Lo abbiamo ripetuto più volte, se un paziente o un parente di quest’ultimo si sente in dovere di tentare di strangolare un operatore sanitario e di strappargli i capelli, all’interno di un pronto soccorso, dopo ore di attesa, provate a immaginare fino a che punto può esplodere la rabbia quando, in preda ad un vero raptus di follia, l’ira vince su tutto e l’infermiere può diventare, all’interno dell’abitazione della persona da soccorrere, l’estraneo di turno, il capro espiatorio contro cui scagliare tutte le responsabilità.

Un vortice di mala cultura, all’interno del quale taluni pazienti o parenti sono ben lontani dall’immaginare che quell’uomo o quella donna sono magari da ore a bordo di quell’ambulanza e hanno tutta l’intenzione di fare di tutto per salvare una vita.

Bastano pochi minuti di ritardo nell’arrivo della vettura ed ecco che, quando la richiesta di primo intervento è legata a situazioni di estrema gravità, l’infermiere di turno del 118 si ritrova davanti un vero e proprio inferno. Quello delle aggressioni fisiche, delle minacce verbali, finanche delle pistole.

In Campania, ma certamente potrebbe accadere ovunque, per ben tre volte nell’ultimo mese si è verificato l’impensabile. Il dramma è che tutto questo è all’ordine del giorno»

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

28 dicembre 2022, Napoli, Borgo Sant’Antonio: un uomo, all’interno, della propria abitazione, con la moglie in gravi condizioni, all’arrivo degli infermieri del 118 esplode in minacce verbali che sfiorano il dramma. Della serie, se mia moglie muore vi ammazzo e non importa che mi danno 30 anni carcere!

19 dicembre 2022, Agropoli, provincia di Salerno: gli uomini del 118 di Capaccio, Paestum, vengono aggrediti a calci e pugni dal parente di un paziente che ha allertato l’ambulanza.

17 dicembre 2022, Napoli, equipaggio del 118 del San Gennaro: si arriva alla pistola, estratta da un 76enne, che minaccia di morte l’infermiera di turno, in preda all’angoscia per le condizioni della propria moglie.

«Mentre ci chiediamo cos’altro deve ancora accadere, e fino a che punto un infermiere del 118 deve svolgere le proprie funzioni nella più totale mancanza di sicurezza, emergono nuovi dati sulle violenze ai danni degli operatori sanitari, che ricaviamo incrociando i report dell’Istituto Superiore della Sanità con quelli della Croce Rossa.

Il problema è diffuso ovunque e durante la pandemia è peggiorato. L’Organizzazione mondiale della sanità ha stimato che tra l’8 e il 38% degli operatori sanitari subiscono o subiranno violenze fisiche nel corso della propria carriera. E le vittime, in Italia, sono donne nel 70% dei casi.

Benché ufficialmente si contino circa 2.500 episodi all’anno, la reale dimensione del problema non è conosciuta. Secondo uno studio condotto dall’Istituto superiore della sanità (Iss) “molti episodi di violenza, soprattutto verbale e psicologica, ma anche fisica, non vengono denunciati dagli operatori. Il livello di tale sottonotifica viene stimata fino al 70%”. Tradotto: i casi reali potrebbero essere più del doppio rispetto a quelli ufficiali.

La maggior parte delle aggressioni al personale sanitario avviene nei pronto soccorso ed è lì che si sono registrati alcuni dei casi più gravi degli ultimi anni. Seguono i reparti di degenza, gli ambulatori, gli Spdc (Servizio psichiatrico Diagnosi e Cura), le terapie intensive, le ambulanze del 118, le case di riposo e i penitenziari. Le violenze avvengono più frequentemente durante i turni serali o notturni.

Secondo i dati riportati dalla Croce Rossa Italiana, i responsabili delle aggressioni sono nel 49 per cento dei casi i pazienti, nel 41 per cento familiari o pazienti e nell’8 per cento da utenti in generale o altri operatori sanitari. “La categoria maggiormente colpita – scrive la CRI – risulta quella degli ausiliari sanitari (59% per cento delle vittime nel 2016). Si riduce negli anni la quota di infermieri (da 23.5% a 14.5%), rimane costante la quota di medici (2.4%-2.6%)”.

In generale, ricorda l’Iss, tra i lavoratori del settore pubblico gli operatori sanitari sono quelli col più alto tasso di assenze dal lavoro a causa di violenze. E questo è correlato a un alto rischio di danni psicosociali e di burnout, la sindrome legata allo stress lavoro-correlato, che porta il soggetto all’esaurimento delle proprie risorse psico-fisiche con conseguenze anche molto gravi.

I numeri allarmanti appena citati, continua De Palma, evidenziano in modo preoccupante che, oltre alla drammatica mancanza di sicurezza fuori e dentro le corsie degli ospedali, e alle conseguenze psico fisiche delle violenze subite da parte dei nostri infermieri, la sanità italiana sta pagando lo scotto delle ripercussioni legate alle assenze sul luogo di lavoro degli operatori sanitari aggrediti,

Impossibile non riflettere sul fatto che tutto questo colpisce e rischia di colpire sempre più duramente, a mo’ di boomerang, i pazienti stessi, minando nel profondo la qualità delle prestazioni sanitarie, alla luce di una voragine di 80mila professionisti», chiosa De Palma.