Altro che cambiamento e avvicinamento all’Europa: la scuola figura tra i comparti pubblici con cui i Governi continuano a fare cassa. Il dato tendenziale in riduzione è contenuto nel Documento di economia e finanza 2019, presentato dal Governo ed ora sotto la lente delle commissioni del Senato: rispetto al Prodotto interno lordo, si legge a pagina 115 del documento, l’investimento pubblico per il settore della formazione risulta in discesa di 8 punti percentuali. L’impegno economico per la scuola tornerà a salire (al 3,3%) solo nel 2045.
Nel frattempo, la forbice rispetto all’Europa, dove si spende in media il 4,9%, con punte del 7%, diventerà sempre più larga. Marcello Pacifico (Anief): Quello che fa pensare è che negli stessi decenni il Def ci dice che la spesa socio-assistenziale e sanitaria si indicano in crescita, passando rispettivamente dall’1,0 all’1,3 e dal 7,1 al 7,6. Ma che fine hanno fatto le promesse dei partiti di Governo sull’investimento nel settore della Conoscenza, con tanto di impegno di assunzione dei precari e di assegnazione di stipendi finalmente europei?
L’alveo scolastico è destinato ancora più a ridimensionarsi: “la proiezione della spesa per istruzione in rapporto al PIL – si legge nelDef 2019 presentato dal Presidente del Consiglio dei ministri – è coerente con l’aggregato di spesa definito in ambito EPC WGA. Ilrapporto spesa/PIL presenta un andamento gradualmente decrescente che si protrae per circa un quindicennio. A partire dal 2022, tale riduzione è essenzialmente trainata dal calo degli studenti indotto dalle dinamiche demografiche”. In base a quello che è dichiarato nel Def, quindi, il Governo non avrebbe alcuna intenzione di lasciare inalterati gli organici del personale scolastico, pur in presenza di una sensibile riduzione degli iscritti.
I CONTENUTI DEL DEF RELATIVI ALLA SCUOLA
La proiezione degli economisti del Governo stride con “i principali obiettivi programmatici dell’azione di Governo”, all’interno dei quali vi sarebbe anche “il sostegno all’istruzione scolastica e universitaria e alla ricerca attraverso misure atte a finanziarne lo sviluppo, con particolare attenzione al capitale umano e infrastrutturale”. Ma quali sarebbero questi progetti di sviluppo dell’istruzione pubblica? Il Def elenca una serie di punti, tra i quali spicca la volontà di “promuovere la ricerca, l’innovazione, le competenze digitali e le infrastrutture mediante investimenti meglio mirati e accrescere la partecipazione all’istruzione terziaria professionalizzante”.
A pag. 465 del Def si dedica un capitolo al settore dell’Istruzione: “Nel settore scolastico è necessario procedere alla redazione di un Testo Unico che sistematizzi in maniera organica le molte norme che riguardano la scuola e consenta un’opera di semplificazione legislativa complessiva. Tale riordino della legislazione andrà di pari passo con un piano strategico di interventi diretti a migliorare la qualità e l’efficacia del sistema di istruzione”.
Inoltre, “importanti risorse sono state stanziate con un decreto di novembre 2018157 per l’ampliamento dell’offerta formativa: 16,7 milioni destinati, oltre che a migliorare l’offerta formativa – con il coinvolgimento dei territori – anche allo sport e alle emergenze educative”. Per “la lotta alla dispersione scolastica, obiettivo fondamentale del Paese nel quadro europeo, passa anche per un incremento delle opportunità formative sul territorio. In questo senso sono state avviate, per il tramite dei Fondi Europei, una serie di misure per il potenziamento delle competenze di base e per la lotta alla dispersione”. Tra gli investimenti, figurano anche “circa 23 milioni per l’ampliamento dei percorsi formativi degli Istituti Tecnici Superiori (ITS) per l’anno 2018/2019”.
Al fine di migliorare l’offerta formativa, inoltre, saranno avviate “misure per assicurare il reclutamento dei docenti con titoli idonei all’insegnamento della lingua inglese, della musica e dell’educazione motoria nella scuola primaria anche utilizzando, nell’ambito delle risorse di organico disponibili, docenti abilitati all’insegnamento per la scuola primaria in possesso di competenze certificate”. Altre azioni del Governo riguardano “il sistema integrato di educazione ed istruzione. La precocità d’ingresso nel sistema di istruzione è riconosciuta come misura capace di accrescere il successo formativo nel corso della vita: in tal senso per garantire il successo formativo di ciascuno studente si presterà maggiore attenzione alle esigenze della fascia 0-3 anni”.
I POSSIBILI TAGLI
Nel Documento di economia e finanza, si parla anche di razionalizzazione di spesa: “Con il disegno di legge sulle semplificazioni, approvato dal Governo a febbraio 2019, è prevista una delega nel settore dell’istruzione finalizzata a razionalizzare enti, agenzie, organismi e a modificare la disciplina degli organi collegiali territoriali della scuola, per eliminare sovrapposizioni di funzioni e definire chiaramente compiti e responsabilità”.
Nessun riferimento, invece, viene fatto alle condizioni che muteranno per giustificare il sensibile calo di investimenti per il comparto. Viene da sé che si tratterà, in primis, di una riduzione di spesa legata agli organici del personale, approfittando della riduzione delle nascite e quindi del numero di alunni: facendo in questo caso decadere il sogno della riduzione del numero di alunni per classe e la cancellazione delle non poche classi “pollaio”, tra l’altro caldeggiata anche dal primo partito di Governo con un apposito disegno di legge in discussione nelle commissioni parlamentari di competenza.
L’EUROPA CI SURCLASSA SEMPRE PIÙ
Rispetto all’Europa, se si guarda agli ultimi dati Eurostat – riferiti al 2015 e calcolati sul totale di risorse destinate al segmento “education” dai governi nel perimetro dell’Unione – l’investimento dell’Italia per l’Istruzione si delinea quindi ancora di più in chiave negativa: la media di spesa nel vecchio Continente, sempre rispetto al Pil, è infatti del 4,9%. Peggio del Belpaese fa solo la Romania (3,1%), mentre investono circa il doppio Danimarca (7%), Svezia (6,5%) e Belgio (6,4%). È poi tutto dire che il governo tedesco mette sul piatto quasi il doppio di noi, 127,4 miliardi di euro contro i 65,1 miliardi dell’Italia.
È emblematico il commento dell’ex Commissario alla spending review italiana, Carlo Cottarelli, il quale qualche mese fa ha detto che sarebbe un grave errore fare dei “tagli alla Scuola, perché per la pubblica istruzione e la cultura non spendiamo affatto troppo rispetto al prodotto interno lordo”. Cottarelli è cosciente che negli ultimi dieci anni, mentre non sono stati toccati i costi della politica, delle società partecipate e delle consulenze, la Scuola ha sacrificato il 75% dei tagli di tutta la PA. Solo con la Legge 133 del 2008, voluta dall’ultimo Governo Berlusconi, si è ridotto un sesto del personale e l’orario delle lezioni, di un terzo il numero degli istituti e dei dirigenti scolastici, con l’incremento del precariato del 15% al fine di fare cassa su scatti di anzianità, ricostruzioni di carriera e mesi estivi, e il ricorso massiccio al finto organico di fatto. Per l’Università, infine, vale per tutti la riduzione progressiva dei finanziamenti, il blocco perenne del turn-over e l’ingiustificata eliminazione dei ricercatori.
L’AMARO COMMENTO DEL PRESIDENTE ANIEF
“Un Paese moderno che vuole migliorare la condizione dei propri cittadini ed il proprio posizionamento internazionale – spiegaMarcello Pacifico, presidente nazionale Anief – non può fare a meno di investire nell’Istruzione. Ancora di più se si tratta dell’Italia, in sensibile ritardo rispetto a quanto investono altri Paesi limitrofi e appartenenti all’Unione Europa. Ma anziché annullare quel punto percentuale che ci divide dalla media europea, che si fa? Si prevede di ridurre ulteriormente la spesa nel tempo, tanto da limare il già magro investimento di oggi, fino a collocarlo appena sopra al 3% di spesa rispetto al Pil”.
“Ogni commento ai contenuti del Def 2019, almeno per quel che riguarda la scuola – continua Marcello Pacifico – è quasi superfluo:i numeri parlano da soli. Quello che ci sentiamo di dire a chi ci governa è solo di avere un minimo di coerenza rispetto agli impegni presi con i cittadini italiani: il programma di Governo non prevedeva un tracollo di investimenti per la scuola, né la riduzione di posti di docenti e personale Ata. La scuola non è in grado di sopportare un altro dimensionamento, si rischierebbe ildefault del sistema formativo pubblico”.