La differenza strutturale tra il compenso di un insegnante italiano e quello di un collega europeo sta nelle progressioni accreditate nel tempo: ai nostri docenti si applicano aumenti minimi, in media ogni quattro-cinque anni, mentre ai colleghi di oltre confine si danno incrementi più ravvicinati e sostanziosi. Il risultato di questo gap, riportato in modo fedele nell’annuale pubblicazione dell’OCSE, Regard de l’éducation, riferita al 2018, viene evidenziato per bene oggi della rivista Tuttoscuola: ai maestri della primaria, ad esempio, mancano 11 mila euro l’anno. Marcello Pacifico (Anief) insiste: servono subito almeno 200 euro al mese, quindi 2 miliardi e mezzo l’anno. Il Governo deve trovarli.
Quando si parla di stipendi annui lordi dei docenti europei, nella maggior parte dei casi in fase iniziale sono abbastanza ravvicinati: tranne “la Germania che assegna retribuzioni doppie di quelle italiane”, lo stipendio lordo iniziale annuo dei docenti italiani di scuola primaria (e di scuola dell’infanzia), è di circa tre mila euro al di sotto della media dei Paesi dell’UE (31.699) e di quasi 4 mila sotto la media dei Paesi aderenti all’OCSE”. La rivista rileva che la forbice sulla retribuzione, però, a fine carriera si triplica: prima di andare in pensione, la distanza “per i docenti italiani di primaria è di 11 mila euro inferiore alla media dei Paesi europei”.
Vale per tutti i gradi di insegnamento
Lo stesso vale per gli altri gradi scolastici. “Vi è analogia di posizioni e di rapporti anche per i professori della secondaria di I grado, che, rispetto alla media retributiva iniziale dei Paesi dell’UE, hanno stipendi annui lordi inferiore di circa 3mila euro. Gli stipendi di fine carriera dei professori di scuola secondaria di I grado dei Paesi UE superano di circa 10 mila euro annui quelli degli italiani”. È emblematico il caso dei docenti francesi delle scuole medie: “Nel confronto con i colleghi francesi i professori italiani la differenza nello stipendio iniziale vede i transalpini in vantaggio di poche centinaia” di euro, “ma a fine carriera i francesi superano di ottomila euro i docenti di casa nostra”. In questo caso il gap nel corso degli anni diventa abissale, perché si materializza in una condizione di partenza quasi analoga.
Per Tutttoscuola, la conclusione è inevitabile: esiste un gap retributivo rispetto ai collegi europei così evidente che “soltanto una coraggiosa riforma potrà colmare. Intanto in Parlamento, su iniziativa del Movimento 5 Stelle, si discute di ridurre ulteriormente il rapporto alunni-docenti: si pensa di farlo lasciando invariata la retribuzione (il che comporterebbe un aumento di spesa per gli stipendi proporzionale alla riduzione del rapporto), oppure di aumentarla come “vorrebbe tanto” il ministro Bussetti, con conseguente esplosione del costo per stipendi?”
Il commento del presidente Anief
Il sindacato Anief ritiene che il Governo del Cambiamento debba affrontare il problema in modo serio e immediato: “I numeri parlano chiaro – dice Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief – e valgono più di tutto. Quello che serve per i nostri docenti della scuola pubblica è un investimento corposo, che si può realizzare negli anni. Quindi all’inizio di una legislatura, come quella attuale, sarebbe l’ideale. Anziché andare a legiferare sull’autonomia differenziata oppure investire tutte le risorse su contesti non da emergenza, i nostri governanti devono affrontare il problema degli stipendi di chi opera nella scuola. Con meno di 29 mila euro lordi l’anno di media, circa 1.400 euro netti al mese, una famiglia di tre persone è sotto la soglia di povertà”.
La soglia di povertà Istat
In base ai calcoli ufficiali dell’Istat, peraltro riferiti all’anno 2017, una famiglia media italiana, residente in un Comune di oltre 50 mila abitanti de centro Italia, composta da due adulti e due bambini, uno tra i 4 e i 10 anni, l’altro adolescente, viene considerata “povera” se percepisce meno di 1.530 euro. Se poi ci si sposta in un Comune del nord, la soglia sale a 1.632 euro. Questo significa che un collaboratore scolastico, che in media percepisce 1.200 euro, con famiglia e la moglie a carico, è ampiamente al di sotto di quella soglia. E lo stesso vale per un insegnante. E se il figlio è uno, il budget necessario per non essere considerati poveri non cambia molto, collocandosi tra i 1.300 e i 1.400 euro.
È scandaloso, quindi, che i salari dei docenti e Ata continuino ad essere i più bassi della pubblica amministrazione, avendo perso anche mille euro di potere d’acquisto solo negli ultimi sette anni, come conseguenza del blocco contrattuale tra il 2008 e il 2016 e del mancato recupero dell’inflazione nell’ultimo triennio. Ancora di più perché si è tentato di far passare il messaggio che gli aumenti-miseria dello scorso aprile e la quota forfetaria ridicola annessa arretrati sarebbero stati l’inizio della svolta. “La realtà – conclude Pacifico – è che gli aumenti in arrivo, con la busta paga di questo mese, pari a 3-5 euro, sono un atto dovuto per legge. E se non si programmano gli aumenti veri, con il Def in via di approvazione, anche l’anno prossimo c’è il rischio concreto di confermare al personale scolastico italiano la maglia nera per gli stipendi dopo i Paesi dell’Est”.