I Finanzieri del Comando Provinciale di Viterbo, in esecuzione di provvedimento del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Roma, hanno sottoposto a sequestro preventivo beni collocati in ambito nazionale ed estero. Il sequestro ha riguardato da un lato quote di società, con finalità impeditiva, dall’altro denaro, fondi d’investimento, partecipazioni societarie, veicoli e motoveicoli di lusso, nonché beni immobili fino ad una concorrenza di oltre € 21.000.000, al fine di confisca diretta e per equivalente.
Il provvedimento, eseguito nei confronti di n. 8 soggetti tra amministratori di fatto e prestanome di società operanti nel settore della distribuzione al dettaglio, pulizie di edifici, trasporti e facchinaggio, consegue alle ipotesi di reato di concorso in frode fiscale, indebite compensazioni e riciclaggio.
Tra i beni sottoposti a vincolo ha particolare risalto un fondo d’investimento estero di circa due milioni e mezzo di euro.
La complessa attività investigativa è conseguente ad un intervento operativo eseguito, nel mese di giugno del 2017, dalla Compagnia di Viterbo presso i locali di un supermercato di generi alimentari operante nella provincia viterbese, risultato gestito di fatto da un imprenditore romano.
Le immediate ricerche, estese dai militari nel locale/ufficio dell’amministratore di fatto della società gestore della medesima attività commerciale, permettevano di rinvenire copiosa documentazione amministrativa, contabile ed extracontabile, nonché numerosi timbri ad inchiostro riconducibili a diverse società, tutte con sede dichiarata a Roma ma in realtà, come si è scoperto nel corso delle indagini, impiegate esclusivamente per l’emissione e l’utilizzo di fatture false.
Le successive attività investigative, condotte dai Finanzieri del Comando Provinciale di Viterbo sotto il coordinamento della Procura della Repubblica di Roma, hanno infatti permesso di accertare una truffa sistematica commessa nei confronti dell’Erario e degli Istituti Previdenziali, perpetrata dai titolari di uno studio commercialistico di Roma attraverso un gruppo di società che hanno presentato dichiarazioni fraudolente,indicando costi fittizi per € 18 milioni al fine di ottenere un credito IVA, quantificato in € 3 milioni e mezzo, risultato essere inesistente ed utilizzato successivamente per compensare il versamento di ritenute fiscali e di contributi previdenziali, che invece sarebbero stati tenuti ad effettuare.
L’attività di polizia giudiziaria eseguita ha permesso di accertare che tali società sono state costituite da uno dei titolari dello studio commercialistico, considerato l’amministratore di fatto, e che le quote societarie, come pure le cariche di amministratore, sono state intestate e attribuite a soggetti terzi compiacenti, dietro il pagamento di un compenso periodico.
Altre società, per gran parte amministrate da soggetti “prestanome”, riportavano costi fittizi, consistenti nell’acquisto di beni immateriali (in realtà mai acquisiti), per oltre € 40 milioni e crediti IVA inesistenti per quasi € 10 milioni, che venivano poi impiegati sempre per compensare le ritenute fiscali ed i contributi previdenziali che avrebbero dovuto versare.
La frode aveva anche importanti conseguenze sui lavoratori delle società che si avvalevano della collaborazione illecita dello studio commerciale: è stato infatti accertato che quando una delle società di cui erano dipendenti aveva “esaurito” il credito IVA fittizio, i lavoratori venivano licenziati, per poi essere assunti da nuove società, appositamente costituite, che avevano appena creato il credito d’imposta secondo il medesimo sistema di frode sopra descritto. Il legame lavorativo, quindi, non seguiva il merito, le capacità o l’impegno, ma le alterne esigenze delle dinamiche della frode fiscale.
Tutte le partecipazioni delle società coinvolte, quantificate in circa 60, sono state sottoposte a sequestro e affidate alla custodia di un amministratore giudiziario.
In conclusione, vista nel suo complesso, l’attività di polizia economico-finanziaria svolta dalle Fiamme Gialle viterbesi, sotto l’egida della Autorità Giudiziaria capitolina, ha permesso di constatare imposte evase (IRPEF, IRES, IVA e IRAP) per un importo superiore ad € 11.000.000 mentre le indebite compensazioni delle ritenute fiscali e dei contributi previdenziali ammontano a circa € 13.000.000.
L’odierno sequestro conferma la straordinaria importanza rivestita, nel nostro ordinamento, dalla possibilità di colpire i patrimoni degli amministratori di enti e società in relazione a fatti tributari penalmente rilevanti. L’ablazione dei patrimoni illecitamente costituiti nel tempo attraverso attività fraudolente sembra infatti il più efficace ed insostituibile strumento per far sì, ad un tempo, che venga garantita la soddisfazione del credito erariale che lo Stato vanta nei confronti degli indagati, che questi ultimi non abbiano la possibilità di trarre ulteriori indebiti vantaggi economici dalle frodi commesse, che risulti evidente ai cittadini onesti come i comportamenti criminali, ed i relativi indebiti guadagni, non sfuggano all’attività di controllo degli Enti preposti ed anzi, una volta scoperti, hanno anche un gravosissimo costo economico e sociale per gli autori.