Il programma della coalizione di governo prevede la reintroduzione dei cd. Decreti sicurezza. Occorre tuttavia scongiurare un ripristino delle misure previste nel 2018 e tornare a parlare di sicurezza in termini di salvaguardia dei diritti fondamentali delle persone migranti.
Le relazioni annuali al Parlamento sul sistema di accoglienza non vengono pubblicate da due anni (l’ultima è quella relativa all’anno 2019), su quali basi i parlamentari possono valutare cosa ha concretamente prodotto la riforma tra il 2018 e il 2020? La mancanza di informazioni da parte delle istituzioni che gestiscono il sistema di accoglienza in Italia ha costretto ActionAid e openpolis a inoltrare 24 tra istanze di accesso ai dati, richieste di riesame o di chiarimenti, e ricorsi in sede giurisdizionale avviati dall’aprile 2020 al giugno 2022. Il lavoro di raccolta e analisi dei dati ha dato vita a Centri d’Italia, la prima piattaforma di monitoraggio di tutti i centri di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati in Italia, lanciata lo scorso febbraio.
A partire dai dati, è evidente che siamo di fronte a un’emergenza che non c’è. È il sistema dell’accoglienza a operare in maniera emergenziale, dato che 7 migranti su 10 sono accolti in centri straordinari. Allo stesso modo il decreto sicurezza ha creato emergenze che intendeva contrastare. Negli ultimi tre anni le persone accolte in Italia sono diminuite del 42%, ma sono aumentate quelle in condizione di soggiorno non regolare, a causa dell’abolizione della protezione umanitaria sancita proprio dal provvedimento e alla conseguente contrazione sensibile dei riconoscimenti delle richieste di protezione, con i rigetti che passano dal 66,7% nel 2018 all’80,8% nel 2019.
«Sul fronte dell’accoglienza, contrariamente a quanto indicato dalle relazioni della commissione di inchiesta parlamentare (2016-17) si è proceduto, in totale assenza di programmazione, a destrutturare scientificamente il circuito diffuso dei piccoli centri, privilegiando strutture straordinarie di grandi dimensioni e grandi gestori, nonostante nella relazione al parlamento dell’agosto 2018 (a meno di due mesi dall’emanazione del decreto sicurezza), lo stesso Viminale abbia riconosciuto gli effetti negativi delle grandi concentrazioni di persone “sia sull’efficienza dei servizi forniti ai migranti, sia sulle collettività locali, sia infine per l’eventuale rischio di attirare interessi economici degli ambienti criminali” » dichiara Fabrizio Coresi di ActionAid.
Un’operazione, quella della riforma del sistema di accoglienza che – come registrato nel report la sicurezza dell’esclusione – ha messo in difficoltà non solo il terzo settore, gli enti locali e le persone migranti, ma anche le prefetture, strette tra regole di difficile applicazione (come il taglio di costi e servizi previsti dal nuovo capitolato) e la necessità di garantire il servizio, e costrette a ripetere le gare, spesso andate deserte.
In risposta alla diminuzione delle presenze, tra il 2018 e il 2020 abbiamo assistito a una diminuzione del 25,1% del numero di centri attivi sul territorio nazionale e del 40,2% dei posti complessivamente disponibili (il 12% in meno nel sistema Sprar/Siproimi). L’analisi dei dati rivela che tra il 2018 e il 2020, periodo di esecuzione dei Decreti Sicurezza, si è scelto di tagliare in media del 25% il costo giornaliero per persona nel sistema CAS (da 35€ ca. a meno di 26€), con la conseguente riduzione dei servizi di integrazione offerti (mediazione linguistica e culturale, assistenza legale e psicologica). La maggiore diminuzione la registriamo al nord, con picchi relativi ai centri più piccoli. Nella provincia di Milano, in due anni si passa da un prezzo medio di 35,38 euro procapite al giorno a 19,11 euro, con una diminuzione pari al 46%.
Con l’incentivo alla gestione di soggetti for profit si è verificata di fatto una perdita di competenze che ha contribuito, con il taglio dei servizi, a minare i percorsi di empowerment delle persone migranti. Le chiusure tra 2018 e 2020 hanno interessato, infatti in particolare, i centri più piccoli determinando la perdita di oltre 22.000 posti nelle strutture con capienza inferiore a 50 persone. Al contrario i centri grandi diventano ancora più grandi: dai 98 nel 2018 ai 110 posti in media nel 2020, e sono mediamente più grandi nelle metropoli. A Milano la capienza media dei centri è circa 10 volte la media nazionale.
Indice della destrutturazione dell’accoglienza diffusa come effetto dei decreti sicurezza è il numero di comuni che ospitano un qualsiasi tipo di centro di accoglienza, in forte diminuzione: nel 2018 i comuni interessati da centri di accoglienza erano il 38,5% del totale. Nel 2020 solo il 25%.
Quella del primo decreto sicurezza è quindi un’occasione persa per riformare il sistema: se si fossero chiusi solo i grandi centri, oltre la metà delle persone sarebbe ospitata in accoglienza diffusa, più efficace per i percorsi di integrazione e con un impatto minore sulle persone e sulle comunità locali. È fondamentale oggi almeno non perdere i piccoli passi avanti che si sono avuti con il decreto di revisione – cd. Lamorgese – a partire dall’introduzione della protezione speciale e dalla possibilità di ospitare nel circuito a titolarità pubblica di microaccoglienza diffusa, nuovamente, anche i richiedenti asilo.
“In assenza delle relazioni ufficiali del Viminale, la piattaforma Centri d’Italia è l’unico strumento che consente di valutare lo stato del sistema di accoglienza. Ancora una volta il report annuale di prossima pubblicazione, che accompagna l’aggiornamento dei dati (al 2021) sulla piattaforma, anticiperà con tutta probabilità la relazione al Parlamento. Ci auguriamo davvero che sia l’ultima volta” concludono Mattia Fonzi e Michele Vannucchi di openpolis.
ActionAid e openpolis continueranno a monitorare il sistema di accoglienza, a chiedere trasparenza e che le scelte politiche si basino sulla valutazione delle precedenti misure. Se così fosse, i decreti sicurezza dovrebbero essere non ripristinati, ma completamente abrogati.