“Sulla base delle esperienze pregresse, maturate in occasione di epidemie quali l’Ebola o il colera in diversi Paesi in cui opera l’organizzazione, anche questa pandemia tende a generare un aumento significativo dei livelli di stress e di ansia nelle comunità più vulnerabili e tra gli operatori sanitari”. Lo ha dichiarato Elisabetta Dozio, psicologa e referente di Azione contro la Fame in tema di salute mentale, soffermandosi sul nesso tra malnutrizione e Covid-19. Una “compresenza” di emergenze che mette a serio rischio le già fragili condizioni psicologiche delle persone colpite dalla fame, 821 milioni nel mondo.
“Lo stigma sociale e la discriminazione verso una persona contagiata sono anch’essi, purtroppo, conseguenze associate al Covid-19 che rileviamo nei contesti in cui siamo presenti e impattano, in particolare, sulle persone contagiate, i loro familiari, il personale sanitario e altri operatori che intervengono in prima linea. Investite dalla paura e dalle incertezze causate da una situazione di tale portata o dalle importanti sfide quotidiane provocate dalle restrizioni imposte a livello nazionale, le persone colpite – direttamente o indirettamente – dal coronavirus hanno maggiori probabilità di sperimentare stress e ansia. Anche gli stessi operatori sanitari, impegnati a fornire una risposta immediata in prima linea, poiché gravati da un impegno considerevole, hanno bisogno di essere monitorati per evitare qualsiasi deterioramento della loro salute mentale”.
Basti pensare al “peso” avvertito dal personale medico e sanitario impegnato che opera in alcuni scenari per prevenire la diffusione del virus. Nell’Africa occidentale e centrale, per esempio, i Paesi hanno una media di 0,3 letti d’ospedale per 1.000 abitanti. Non va meglio in Medioriente: in Siria, sette operatori sanitari su dieci hanno lasciato il Paese dal 2011, solo 59 su 111 ospedali sono attivi e, infine, sono meno di 500 le unità di terapia intensiva dotate di ventilatori all’interno dei nosocomi pubblici.
Per questa ragione, in risposta all’emergenza Covid-19 e al fine di ridurre le conseguenze sulla salute mentale delle popolazioni colpite, Azione contro la Fame, nei quasi 50 Paesi in cui è impegnata, ha adattato i progetti in corso per garantire la continuità dei servizi e delle cure nel rispetto delle misure di sicurezza per i beneficiari e lo staff.
“Sono state fornite risposte specifiche di supporto psicosociale e psicologico, destinate al personale infermieristico, ai bambini e alle famiglie colpite da Covid utili per contrastare eventuali comportamenti stigmatizzanti, per favorire l’adozione di buone regole utili per il contenimento della pandemia, per ridurre i sintomi di stress, le preoccupazioni per il presente e il futuro, la paura di non farcela. Bambini malnutriti e genitori denutriti continuano, inoltre, ad essere accompagnati e guidati nell’adozione di adeguate pratiche di cura per il corretto sviluppo psicofisico dei più piccoli”, ha aggiunto Elisabetta Dozio.
Tanta attenzione è riservata anche all’impatto legato alle misure di lockdown adottate, da ciascun Paese, al fine di limitare la diffusione di Covid-19. Tali provvedimenti, infatti, potrebbero avere un impatto sui bambini che stanno già vivendo crisi alimentari a causa della povertà, dei cambiamenti climatici e dei conflitti. I loro genitori, ad esempio, a causa delle restrizioni, rischiano di non essere in grado di lavorare per garantire loro del cibo.
“Azione contro la Fame sta esaminando tutte le conseguenze legate alle misure adottate dai governi, anche quelle che incidono sull’accesso al cibo o al lavoro. Per questa ragione, l’organizzazione promuove la continuità dei servizi esistenti e sta sviluppando attività sul versante della sicurezza alimentare e del sostentamento per prevenire la fame causata dal lockdown. In termini di salute mentale e supporto psicosociale, le difficoltà di accesso al cibo costituisce, di per sé, un problema per i bambini, ma potrebbe anche riguardare i genitori e influenzare il modo in cui essi si prendono cura dei propri figli”, ha precisato la psicologa, che è anche autrice di “Madri e bambini in guerra: come non trasmettere il trauma ai più piccoli”.
In tal senso, nelle zone segnalate dalla mappa della fame, occorre attuare specifiche attività per intervenire laddove le popolazioni soffrono a causa di questioni pregresse legate alla povertà, alla fame e alla malnutrizione.
“Occorre implementare, in queste situazioni, attività di sostegno psicologico e di cura dei bambini, con l’obiettivo di prevenire o limitare gli effetti negativi della malnutrizione. Programmi, come gli spazi per madri e bambini, sono istituiti da Azione contro la Fame per supportare le donne incinte e le madri di bambini piccoli con attività di orientamento parentale, di rafforzamento della relazione genitore-figlio e di supporto psicologico, se necessario. Per i bambini malnutriti, tali attività sono offerte anche all’interno dei centri nutrizionali. Nel caso specifico della risposta al Covid-19, abbiamo pianificato ulteriori misure legate al tema dell’igiene, all’uso sistematico di mascherine, alla riduzione dei partecipanti alle attività di gruppo e al rispetto del distanziamento”.
Nei Paesi a basso e medio reddito, in Africa, nonostante l’emergenza Covid sia ormai una realtà, il 38% della popolazione continua, del resto, a non avere ancora accesso all’acqua pulita, mentre e il 35% non dispone di sapone e di acqua per lavarsi le mani. Più in generale, nel mondo, sono tre miliardi le persone che non dispongono di servizi per il lavaggio delle mani, con acqua e sapone, a casa.