Due milioni di pasti vengono serviti quotidianamente nelle scuole italiane, soprattutto in quelle dell’infanzia (3-6 anni) e nelle primarie (fino agli undici anni). In occasione della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, che ricorre il 5 febbraio, Slow Food Italia accende un riflettore sul cibo che viene buttato via nelle mense scolastiche, proprio nel luogo che più di ogni altro è deputato all’istruzione e all’educazione.
Attualmente non sono disponibili dati certi sullo spreco alimentare nelle mense scolastiche, perché nessuno ne ha mai chiesto conto a chi se ne occupa e non sono previsti monitoraggi. Ma chiunque sia entrato in una mensa scolastica ben conosce quanto grave sia la situazione. La ristorazione scolastica non è normata da alcun LEP (livello essenziale delle prestazioni) e ogni singolo Comune italiano stabilisce singolarmente il modo in cui assicurare il servizio ai propri utenti, cioè le alunne e gli alunni. Nella maggior parte dei casi, il servizio viene appaltato esternamente e non di rado l’assegnazione avviene tramite bandi che finiscono per premiare chi presenta preventivi al ribasso.
Non è difficile immaginare perché un modello di questo tipo possa produrre alte quantità di spreco. Slow Food Italia, che nei mesi scorsi ha lanciato l’appello per l’inserimento dell’educazione alimentare nelle scuole (che è ancora possibile sottoscrivere), esorta tutti i soggetti coinvolti nella filiera della ristorazione scolastica – a partire dal ministero dell’Istruzione e dagli enti locali incaricati di assicurare il servizio mensa – ad attivarsi per ridurre gli sprechi alimentari nelle scuole. Per farlo, occorre innanzitutto avviare un monitoraggio degli sprechi, piatto per piatto, classe per classe, ricetta per ricetta, finalizzato a raccogliere i dati utili a mettere a fuoco le ragioni per cui determinate pietanze non vengono consumate.
Che sia possibile cambiare radicalmente approccio lo dimostra l’esempio di Qualità & Servizi, società pubblica di proprietà di sette Comuni toscani che un tempo adottava un modello ristorazione scolastica di tipo semi-industriale e che in pochi anni, scegliendo di rifornirsi di materie prime locali, monitorando attentamente gli sprechi e tarando i propri menù sulla base delle informazioni raccolte, è riuscita a far entrare le proprie mense scolastiche nell’Alleanza Slow Food dei cuochi, raccogliendo unanimi consensi per la propria attività.
Cambiare approccio non è però soltanto possibile: è necessario. Lo stesso ministero dell’Istruzione, in una circolare del 2019, ha messo nero su bianco che il pasto a scuola rientra “inequivocabilmente” tra le attività formative.