Trecentocinquant’anni fa la grande eruzione dell’Etna segnò profondamente il territorio e la popolazione residente: un evento distruttivo che cambiò per sempre, e in maniera significativa, la morfologia e la geologia di questa parte della Sicilia. Un avvenimento che è stato ripercorso alla conferenza “Gravina e l’eruzione del 1669”, tenutasi nella Sala delle Arti all’interno del parco Borsellino di Gravina di Catania. L’evento è stato organizzato a cura della Soprintendenza di Catania, dell’Università degli Studi di Catania, del Club Alpino Italiano di Catania, dell’Ingv – Osservatorio Etneo e del Comune di Gravina di Catania, nell’ambito della rassegna patrocinata dalla Regione Siciliana “Etna 1669. Storie di Lava” a 350 anni dalla grande eruzione”.
«La conoscenza della storia del nostro territorio e degli eventi anche disastrosi che lo hanno attraversato, significa riappropriarsi della consapevolezza di vivere in un luogo unico al mondo, dominato dalla presenza del vulcano più alto d’Europa – ha dichiarato in apertura dei lavori il sindaco Massimiliano Giammusso – con i suoi paesaggi, il suo clima, ma sopratutto con la sua forza dirompente e i rischi legati ad essa. La narrazione di quei fatti naturali rappresenta, per chi vive ai piedi dell’Etna, un’occasione per ritrovare parte dell’identità che ci contraddistingue». Gli ha fatto eco l’assessore alla Cultura Patrizia Costa: «Un ringraziamento speciale va alla Soprintendenza e a tutti quelli che si sono impegnati nell’organizzazione di questo evento, a partire dai nostri uffici e ringrazio anche i dirigenti scolastici dei nostri istituti che hanno voluto coinvolgere i ragazzi in questo importante momento dedicato alla storia dei luoghi dove vivono».
Sono intervenuti per i saluti istituzionali la soprintendente per i beni culturali di Catania Rosalba Panvini e il presidente Cai sezione di Catania Umberto Marino. La relazione della dott.ssa Laura Patané, della Soprintendenza di Catania, ha illustrato gli aspetti vulcanologici dell’eruzione del 1669 mentre lo storico Antonio Aiello si è soffermato sui luoghi delle “Plache” che sono diventati simboli di quell’evento: «Gravina fu toccata marginalmente dall’eruzione, a interessare il territorio furono i terremoti dei giorni precedenti che distrussero buona parte delle costruzioni. Tuttavia la popolazione durante i giorni dell’eruzione, per scongiurare il passaggio della colata lavica, si riunì in due luoghi ben precisi. Uno è il sito dove poi sarebbe sorta nel 1751 la chiesa Santa Maria della Misericodia, detta dei “santuzzi”, costruita proprio su un’icona votiva innalzata in occasione dell’eruzione. La chiesa oggi non è adibita al culto e si trova su un terreno privato in via Valle Allegra. Altro luogo simbolo è il monastero di Sant’Antonello si trova al confine con Mascalucia – ha continuato – era un convento benedettino sorto 4 anni prima dell’eruzione ed era un importante luogo fra San Nicolò la Rena di Catania e il monastero di Nicolosi. Si trattava di una stazione di sosta per chi transitava. Durante i giorni dell’eruzione fu esposto un busto di Sant’Agata che era custodito all’interno del monastero, la popolazione si riunì in preghiera invocando protezione dalla colata lavica. È anche significativo – ha concluso Aiello – che proprio nel 1669 il territorio fino ad allora conosciuto come “Plache” assunse la denominazione di Gravina, dalla nobile famiglia spagnola che acquisì e infeudò tutti i casali della zona». A illustrare gli itinerari del Cai tra le lave del 1669 sono stati il dott. Vincenzo Agliata e il dott. Giovanbattista Condorelli della sezione del Club Alpino Italiano di Catania. Alla fine della conferenza è stata inaugurata la mostra “Inediti Tesori” allestita con pezzi dall’alto valore storico come quadri, rappresentazioni e testi antichi che testimoniano i risvolti dell’evento eruttivo nel territorio etneo.