Il governo non è armoniosamente d’accordo sulla tassazione delle bevande zuccherate, e forse è un bene, visto che come effetto immediato ci sarebbe solo l’aumento dei prezzi al consumo.
“Per il bene dei consumatori”, dicono coloro che hanno proposto questa tassa… ma ci si consenta di dubitarne visto che, per quanto esosa potrà essere questa tassa per i produttori, e per quanto esoso potrà essere il ricarico dei soliti produttori e – perché no – dei dettaglianti, i prezzi non diventeranno proibitivi e se oggi una tipica Coca Cola costa 100, domani al massimo costerà 105, considerato anche che se, per esempio, l’aumento è di 3 su 100, è prassi consolidata che, riversato sul dettaglio questo 3 … si trasforma in 5, anche per quelle bevande che non contengono zuccheri e che, nella filiera commerciale del settore, sono una componente tutt’altro che secondaria.
Quindi, lo Stato incassa un tassa per, immaginiamo, ipotetiche campagne di dissuasione al consumo zuccherato (campagne che aspettiamo anche per le molto probabilmente legittime contestazioni e rivalse da parte dei produttori delle bevande con zuccheri); produttori e dettaglianti continuano a vendere a prezzi maggiorati; i consumatori pagano e continuano a scegliere rispetto ai propri gusti.
Siamo per questo paladini del trincare all’ingrasso, modello obesità Usa? Tutt’altro, ovviamente. Siamo paladini, infatti, di spese, anche dello Stato, alla bisogna. Per quanto le varie “pubblicità progresso” potranno essere imbastite dallo Stato, crediamo che non smuoveranno di un millimetro le scelte dei consumatori. Che invece devono poter scegliere con consapevolezza. Come? Non accadrà mai dall’oggi al domani.
Quindi: leviamoci di testa un rapporto causa/effetto di queste tasse, e tantomeno delle campagne di dissuasione. In questo ambito, e non solo, ciò che vince è il rapporto diretto tra consumatore e prodotto, fin dall’infanzia. Per esempio: perché a scuola continuano a non esserci materie di educazione alimentare e, magari, le uniche cose fatte in merito sono decisioni di menù più o meno salutistici che quasi sempre rimangono non-mangiati perché godono del disprezzo dei piccoli consumatori?
Come stimolare i produttori a investire di più sul mercato “salutista” e, di conseguenza stimolarli a campagne di promozione mirate? Non certo con l’aumento delle tasse, ma con la detassazione dei prodotti e di queste campagne; cioè lo Stato con si fa “mamma e babbo” nel dire ciò che è buono e ciò che è cattivo, ma aiuta con quanto di sua competenza di Stato regolatore: defiscalizzazione. Un modo questo per coinvolgere e responsabilizzare tutti, senza il solito “paghi e versa le tasse” e poi ci pensiamo noi.
Fantascienza? Forse per chi crede che oggi il minor consumo di tabacco sia dovuto ai prezzi alti dei pacchetti di sigarette e non piuttosto a tutto un contesto economico/commerciale/culturale che ha deciso di investire su una vita senza tabacco.
Vincenzo Donvito, presidente Aduc