Taranto – Nelle province di Taranto, Brindisi, Matera e Bari, i militari del Gruppo Carabinieri per la Tutela Ambientale e la Transizione Ecologica di Napoli e della Sezione di Polizia Giudiziaria di Taranto, con il supporto in fase esecutiva dei colleghi delle Compagnie di Manduria (TA), Francavilla Fontana (BR), Castellaneta (TA) e Massafra (TA), hanno dato esecuzione a 5 provvedimenti cautelari personali degli arresti domiciliari ed ulteriori 20 provvedimenti tra reali e patrimoniali, emessi dall’ufficio G.I.P. presso il Tribunale di Lecce su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, per i reati di associazione per delinquere e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, gestione illecita di rifiuti speciali e discarica abusiva.
L’indagine, coordinata dalla Procura Distrettuale Antimafia di Lecce e dalla Procura di Taranto, costituisce l’esito di una complessa manovra investigativa, condotta dal Nucleo Operativo Ecologico di Lecce unitamente ai colleghi della Sezione di Polizia Giudiziaria, del capoluogo jonico, focalizzata sul fenomeno degli abbandoni di rifiuti speciali su terreni siti in agro tarantino.
La genesi delle indagini veniva occasionata, nel mese di luglio 2019, dal rinvenimento ad opera della Sezione di Vigilanza Ambientale – Regione Puglia – Nucleo di Taranto – di rifiuti pericolosi costituiti da ritagli e cascami di lavorazioni della pelle, abbandonati su terreni siti in agro tarantino e da successivi ulteriori rinvenimenti della stessa tipologia di rifiuti in altre aree dello stesso territorio. Le successive attività investigative condotte dalla P.G. operante, permettevano di ipotizzare quali fossero le aziende produttrici dei rifiuti, tutte operanti nella produzione di divani ed insistenti nelle aree industriali di Matera, Altamura e Gravina di Puglia.
Le prime informazioni testimoniali rese dai legali rappresentanti delle ditte interessate, facevano subito emergere chiaramente la figura del principale indagato per il quale emergevano elementi tali da poterlo ritenere leader e fautore del traffico illecito di rifiuti da almeno 30 anni (come da conversazione telefonica intercettata dalla Polizia Giudiziaria). Sua sarebbe stata la promozione e l’organizzazione dell’associazione, sua ogni decisione in capo agli altri sodali. Lui infatti, tramite l’azienda individuale “Marpelle SNC”, si presentava alle società come titolare di un’azienda che avrebbe provveduto al recupero dei rifiuti speciali da loro prodotti, con un costo di smaltimento pari a 0,15 al kg.
Lo stesso, dopo aver ritirato i rifiuti stoccati all’interno dei piazzali delle aziende, si faceva pagare in contanti o anche tramite bonifico emettendo a loro carico, in questo caso, fatture con causali false di pulizia del verde o dei piazzali così da consentire alle aziende di contabilizzare, si ritiene illecitamente, un costo sostenuto di fatto di gran lunga inferiore rispetto a ciò che avrebbero pagato smaltendo lecitamente (0,40 al kg).
Alla sua morte, il ruolo primario sarebbe stato assunto da altro indagato il quale, sebbene incensurato, si ritiene essere colui che reclutava la manovalanza ed al quale i lavoratori si rivolgevano per essere pagati.
La serie di accertamenti investigativi di natura tecnica, costituiti in prima battuta dai convenzionali servizi di osservazione, controllo e pedinamento (cc.dd. O.C.P.) e le successive attività di intercettazione telefonica ed ambientale, permettevano di ritenere individuati gli altri partecipanti l’associazione, delineandone la caratura criminale e l’apporto incontrovertibile al sodalizio.
Numerosi sono i fotogrammi ed i video che immortalano le attività condotte e gli scambi di denaro tra i vari soggetti di volta in volta chiamati ad effettuare i trasporti ed i successivi sversamenti sui terreni o l’ammassamento dei rifiuti in capannoni nelle disponibilità del sodalizio.
Circa 3.000 (tremila) tonnellate (tre milioni di kg) sono state le quantità stimate di rifiuti smaltiti mediante attività di abbruciamento, interramento e occultamento in area agricole e capannoni industriali e che avrebbe consentito agli indagati di trarne un ingiusto profitto complessivo stimato in circa 550.000 Euro, basti pensare che a fronte di un costo sostenuto complessivamente stimato in circa 420.000 (quattrocentoventimila) euro di fatto se le medesime quantità fossero state lecitamente smaltite il costo stimato sarebbe stato di 1.150.000 (un milione e centocinquantamila) circa.
Purtroppo documentalmente i dati sono inferiori.
Oltre ad eseguire 5 ordinanze di custodia cautelare in regime di arresti domiciliari, venivano altresì sequestrati 5 capannoni industriali, 1 area agricola ove i rifiuti sarebbero stati illecitamente smaltiti, nonché 6 mezzi utilizzati per il trasporto degli stessi.
Inoltre la DDA disponeva il sequestro, finalizzato alla confisca obbligatoria, delle somme di denaro oggetto del presunto ingiusto profitto documentato in 100.000 euro circa, da effettuarsi sui conti correnti delle ditte.