L’ADATTAMENTO CONTINUATO NON BASTA PIÙ. PER GUIDARE LA TRANSIZIONE GREEN, DIGITALE, DEMOGRAFICA E OCCUPAZIONALE SERVE UN PROGETTO UNITARIO, FRUTTO DEL LAVORO DI AUTOCOSCIENZA INDIVIDUALE E COLLETTIVA…
Dopo il lungo decennio di crisi, con lo sprofondare lento in un continuato presente, in assenza di crescita reale di lavoro, redditi e investimenti, adesso l’attesa di un tempo nuovo apre finalmente al futuro.
La società italiana è mutata e ha attraversato crisi ed emergenze con il continuo intrecciarsi di realtà emerse e sommerse, quotidiane e di lungo periodo. Oggi questo non basta più. L’adattamento continuato non regge più, il nostro complessivo sistema istituzionale deve ripensare se stesso. Siamo di fronte a una società che potrà riprendersi più per progetto che per spontanea evoluzione.
La ripresa dello sviluppo è la prima strutturale richiesta che la società esprime in termini di progetto unitario. Basti guardare l’enfasi posta in questi mesi sul superamento delle più favorevoli ipotesi di crescita del Pil, la sopravvalutazione del ciclo di rimbalzo dei consumi interni, la fiducia posta nella capacità dei soggetti e dei fondi pubblici di annientare gli effetti della crisi. Tutti segnali che indicano un’aspirazione collettiva e condivisa di risalita, se non di ricostruzione.
La pandemia, rimescolando le carte, ha costretto il Paese a porsi di fronte alle opportunità dell’accelerazione negli investimenti pubblici e privati. È il tempo di un cronoprogramma serio, non importa se dettato dai vincoli europei. È il tempo delle riforme strutturali e dei grandi eventi internazionali da preparare e ospitare in Italia. È il tempo dell’intervento pubblico, orientato da scelte coraggiose.
Alla parola «crisi» preferiamo la parola «transizione», proprio a significare che il momento più grave è ormai alle spalle, che ci siamo rimessi in cammino. Intorno a ciascun progetto di transizione (green, digitale, demografica, occupazionale) si accumulano tanti sprazzi di vitalità, tanta voglia di partecipazione, tante energie positive.
La transizione green, ossia la necessità di ridurre l’impronta ecologica delle attività umane, per salvaguardare l’ambiente delle generazioni future, è un processo sociale, economico, tecnologico, politico che assume sembianze forti quanto le rivoluzioni industriali o la globalizzazione, ma proprio perché è tale richiede capacità d’indirizzo e di disegno complessivo ben oltre quella messa in campo fin qui in Italia e in Europa.
La transizione digitale è il simbolo della sfida tecnologica e dell’innovazione delle grandi società globali. Oggi prova a integrare obiettivi di contrasto ai cambiamenti climatici e obiettivi d’inclusione dei più fragili nelle società avanzate.
La transizione demografica, verso una società meno numerosa e più anziana, è una vera crisi, da affrontare con strumenti e approcci di una emergenza. La chiamata d’attenzione alle variabili demografiche, e al fatto che nessun Paese avanzato è in ritardo quanto il nostro, ha il pregio di rimettere al centro dell’iniziativa politica il lavoro giovanile, il ruolo delle donne, il potenziamento dei servizi di assistenza e di protezione sociale.
La transizione del lavoro, il riposizionamento delle competenze in uno scenario produttivo e dei servizi radicalmente mutato, sfugge ancora alla sensibilità dell’opinione corrente. Il disallineamento tra domanda e offerta di lavoro, la dispersione di opportunità per mancanza o inadeguatezza delle competenze necessarie in questa nuova fase di ripartenza, non è un tema nuovo, ma oggi è al centro di un rinnovato bisogno collettivo.
La questione di fondo che emerge dalla domanda sociale di uno sviluppo più per progetto che per continuato adattamento è: quanta consapevolezza c’è del percorso da compiere, delle difficoltà ancora da superare? L’emergenza sanitaria e le sue conseguenze, l’attenzione alle variazioni del clima, lo sviluppo dirompente della tecnologia, l’indebitamento pubblico inarrestabile, il gap digitale: sono tutti esempi di come la società italiana sia messa alla prova, chiamata a un lavoro di autocoscienza, individuale e collettiva. Un livello opportuno di coscienza collettiva è un ingrediente necessario alla ripresa economica e sociale, e per garantire una presenza maggiore e più efficace dell’azione pubblica.
Parlare con parole nuove e affrontare con serietà le fragilità del nostro tessuto sociale è quello che serve nell’attuale dialettica socio-politica. Nell’orizzonte della ripresa si nota un’inquietudine politica, timida e incerta. Ben vengano paura e incertezza del futuro, se aiuteranno nuovi modi di pensare e costruire società e istituzioni, di riconnettere tra loro tecnica e politica, vita sociale e attività statale. Solo che il sistema politico non si annidi in un acquietamento di pensiero, maschera di ogni poco curata transizione.