La vita di un cucciolo destinato a essere ucciso dissanguato vale 5,62 euro al chilo, secondo la cifra fissata dall’Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (Ismea). E ogni anno, nel solo periodo della Pasqua, vengono uccisi oltre 300 mila tra agnelli e capretti. Ma è proprio necessario mettere in tavola l’agnello a Pasqua? Sarebbe una festività diversa se non si seguisse questa tradizione crudele? La risposta è evidente: no.
L’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa) quest’anno lancia una campagna web e social che invita a diffondere un’immagine deliziosa e un semplice messaggio: “Anche se non mangi l’agnello, la Pasqua è sempre la stessa. In nome della vera pace, non mangiarlo”.
La mercificazione degli agnelli, nelle sue varie fasi, esprime una crudeltà che va contro ogni morale. Strappati alle loro madri tra i 20 e i 40 giorni di vita, vengono pesati e issati sulle zampe, ammassati e caricati nei camion verso il loro ultimo viaggio. All’arrivo, sono scaricati come oggetti e destinati alla pratica di stordimento che non sempre viene effettuata secondo regolamento. Poi vengono uccisi, talvolta ancora coscienti.
«Le immagini diffuse dalle associazioni a tutela degli animali hanno determinato negli ultimi anni una sensibilizzazione e sempre più persone scelgono di non acquistare carne d’agnello», osserva il presidente dell’Organizzazione internazionale protezione animali (Oipa), Massimo Comparotto. «Noi invitiamo a riflettere anche su quel che accade a tutti gli altri animali d’allevamento che soffrono allo stesso modo, ma se i carnivori intanto eliminassero l’agnello dalle tavole pasquali sarebbe già il primo passo verso un’alimentazione etica».
Le alternative alla carne sono molte, ricorda l’associazione, e chi di sceglie di non mangiare animali non è complice di un sistema che considera esseri senzienti come meri oggetti di consumo usati e abusati. L’industria dell’allevamento degli animali, inoltre, porta con sé evidenti impatti ambientali negativi.