L’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la classifica delle città e delle regioni che hanno registrato i maggiori rincari annui per quanto riguarda i prodotti alimentari, sulla base degli ultimi dati Istat.
Mentre l’Italia e la gran parte delle città sono in deflazione, gli unici beni che non hanno subito contrazioni nelle vendite, nemmeno durante l’emergenza Covid, ossia quelli alimentari, hanno subito pesanti rincari.
Così, a fronte di un’inflazione media annua negativa, pari in Italia a -0,2%, i beni alimentari sono cresciuti del 2,4%, che tradotto in termini di aumento del costo della vita significano, per il solo cibo, un rincaro medio a famiglia pari a 134 euro su base annua, che salgono a 159 euro per un nucleo familiare di 3 componenti, 181 per 4 componenti.
Anche nel territorio, solo 5 regioni (Campania +0,5%, Umbria +0,5%, Trentino +0,5%, Calabria +0,1%, Piemonte +0,1%) e solo 6 città tra quelle capoluogo o con più di 150 mila abitanti (Bolzano, Napoli e Perugia +0,7%, Trento +0,4%, Ancona e Torino +0,1%) registrano un’inflazione positiva, per quanto molto bassa. Ma per il cibo i rincari sono decisamente più alti, con molte disparità a seconda della città.
Ecco perché l’Unione Nazionale Consumatori ha stilato la classifica delle città e delle regioni più care d’Italia, ossia dove i prodotti alimentari e bevande analcoliche hanno registrato i più alti aumenti dei prezzi, elaborando i dati tendenziali Istat relativi al mese di giugno.
Ebbene, la città con i maggiori rincari alimentari (tabella n. 1) è ancora una volta Caltanissetta, +5,7% su base annua, città già in testa alla classifica di aprile e di maggio. Va detto che, forse grazie anche alla nostra denuncia e all’attenzione delle istituzioni riservata a questi aumenti, i rialzi sono in attenuazione rispetto a maggio, quando erano pari a +6,4%. In ogni caso, tradotto in maggior del costo della vita, significa che una famiglia media a Caltanissetta, su base annua, ha registrato una spesa aggiuntiva, per i soli beni alimentari, pari a 307 euro, una vera e propria stangata.
Al secondo posto, Perugia, +4,6%, equivalenti a un aggravio nei dodici mesi, per il solo cibo, pari a 242 euro, al terzo Trieste, +4,4%, pari a 232 euro.
La città più risparmiosa Parma, la più virtuosa, l’unica a registrare per i beni alimentari una riduzione dei prezzi, -0,3%, equivalenti ad un risparmio di 17 euro su base annua. Non è molto, ma è meglio di chi ha subito rincari. Segue Siena, +0,7% e Macerata, +0,9%.
Per quanto riguarda le regioni (tabella n. 2), il cibo più caro, in termini di rialzi dei prezzi, si trova in Umbria, +4%, pari, in termini di aumento del costo della vita, per una famiglia tipo, a 210 euro. Seguono Lazio, +3,3% (189 euro) e al terzo posto, a pari merito, Valle d’Aosta e Trentino, con +3,1%. La regione migliore, il Veneto, +1,6%, seguita da Lombardia e Puglia.