Intervento di Pasquale Stanzione, Presidente del Garante per la protezione dei dati personali
Il Messaggero, 23 febbraio 2021 …
Si sono lette, in questi giorni, alcune critiche rispetto alle indicazioni fornite dal Garante per la protezione dei dati personali sulla vaccinazione dei dipendenti. Si tratta, naturalmente, di un tema di per sé delicatissimo e discusso, nella ricerca della soluzione più idonea a coniugare esigenze di sanità pubblica e diritti individuali. Questa tensione tra dimensione individuale e collettiva è, del resto, sottesa allo stesso articolo 32 della Costituzione, che qualifica il diritto alla salute come diritto fondamentale e, ad un tempo, interesse della collettività.
E proprio per garantire un equilibrio “alto” tra la dimensione individuale e quella collettiva, il Costituente ha prescritto in proposito una riserva di legge rafforzata, prevedendo che nessun trattamento sanitario, ancorché legislativamente disposto, possa violare «i limiti imposti dal rispetto della persona umana», ritenuti complementari alla tutela della dignità.
Da questa premessa bisogna partire per meglio comprendere i termini della questione, facendo anche chiarezza su alcune inesattezze che hanno caratterizzato le critiche rivolte al Garante, cui si imputa essenzialmente di aver frapposto inutili ostacoli all’azione di prevenzione sanitaria, in particolare nei luoghi di lavoro.
Precisiamo un punto essenziale: il Garante non si è in alcun modo pronunciato sul tema dell’esigibilità, da parte datoriale, della vaccinazione quale misura di protezione del lavoratore stesso e della sicurezza dell’ambiente di lavoro. L’Autorità si è limitata a chiarire che nei casi di esposizione diretta ad “agenti biologici” durante il lavoro, come in ambito sanitario, che comporta livelli di rischio elevati, si applicano le disposizioni vigenti sulle “misure speciali di protezione” previste per tali contesti, in attesa di eventuali, ulteriori disposizioni legislative.
E quanto i limiti normativi siano, in questo ambito, stringenti è dimostrato dalla ordinanza con cui il Giudice del lavoro di Messina ha ritenuto illegittima l’imposizione, a livello regionale, dell’obbligo vaccinale (influenzale) per gli operatori sanitari, perché in violazione della riserva di legge (statale) in materia.
Ma più in generale, sulla base del riparto di competenze normativamente sancito tra medico del lavoro e datore, il Garante ha chiarito che spetta al primo e non al secondo trattare i dati sanitari dei lavoratori, verificandone l’idoneità alla “mansione specifica” anche, se del caso, sulla base del dato relativo alla vaccinazione, secondo le indicazioni fornite dalle autorità sanitarie.
Per altro verso, spetterà al datore di lavoro attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di parziale o temporanea inidoneità alla mansione assegnata.Tale essendo il riparto di competenze tra medico del lavoro e datore, è chiaro che il consenso del dipendente a una diversa circolazione delle informazioni (oltre che essere invalido perchè prestato in condizioni di squilibrio, in primo luogo contrattuale), sarebbe comunque irrilevante perché non potrebbe alterare tale distinzione di compiti, non derogabile in base alla mera autonomia privata.
Non si confonda il rispetto delle competenze e delle procedure legislative con mero formalismo o, peggio, con l’ostacolo all’azione di prevenzione sanitaria che il Garante in questi mesi ha invece dimostrato di sostenere e promuovere, coniugandola con le garanzie irrinunciabili per non condannare ciascuno di noi a forme di biosorveglianza il cui impatto sulla libertà è assai più invasivo di quanto possa apparire.
Tutt’altro che di ostacolo all’interesse pubblico, il contributo dell’Autorità è servito semmai per essere insieme più efficaci, ma non meno liberi; a non cedere alle sirene del modello coreano (se non addirittura cinese), pur realizzando un’azione di prevenzione lungimirante.
Del resto, confondere le garanzie con la burocrazia rischia di farci dimenticare che lo Stato di diritto è quello del governo sub lege e non sub homine: una distinzione che, invece, è centrale per una democrazia.